Lettonia, la minoranza russa è discriminata. Ma bisogna pur difendersi

Pubblicato il 15 Luglio 2012 alle 15:29 Autore: EaST Journal
lettonia

Qualcuno si ricorderà dell’Unione Sovietica. Un regime sanguinario che ha affamato, vessato, tolto la libertà alle nazioni finite sotto il suo dominio alla fine della Seconda guerra mondiale. Tra queste la Lettonia e i paesi baltici, la cui occupazione fu considerata dagli alleati occidentali un pegno a Stalin per il suo intervento bellico contro la Germania nazista. La resistenza all’oppressione russa è di vecchia data, fin dal 1918, da quando alla dissoluzione dell’impero russo i baltici dichiararono l’indipendenza. La Lettonia, come gli altri paesi baltici e la Polonia, è stata vittima di violenti tentativi di russificazione, prima e durante la dominazione sovietica. Dal 1991 la Lettonia e gli altri paesi baltici hanno riacquistato la libertà dando rapida origine a democrazie avanzate, a dispetto di molti altri Paesi dell’ex blocco comunista ancora oggi impantanati in un’eterna transizione tra socialismo e democrazia.

In Lettonia, però, c’è una legge da molti definita “liberticida”. I russi residenti in Lettonia, immigrati dopo il 1940, non sono riconosciuti come cittadini lettoni. Non possono votare né ricoprire cariche pubbliche (ma possono isciversi a partiti), hanno limiti al diritto alla pensione, non possono ricoprire ruoli di dirigenza nella pubblica amministrazione. Lo stesso vale per i loro discendenti. Per diventare cittadini lettoni occorre superare un iter formativo e un esame di lingua lettone. La lingua lettone non è propriamente delle più facili.

Si sono formati in Lettonia partiti russofoni, che difendono le istanze della minoranza russa nel Paese. Il principale è il Saskaņas centrs (Centro per l’Armonia), centrista e moderato, ha raccolto nel 2006 il 15% dei voti e ben il 26% alle elezioni del 2012. Pur essendo partito di maggioranza relativa non sono riusciti a entrare nella coalizione di governo. La situazione però si complica con la nascita, nel 2012, del Par dzimto valodu (La lingua madre), movimento radicale russofono e filorusso, guidato dall’attivista Vladimirs Lindermans.

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Lindermans (nome da tenere a mente), già arrestato in Russia e estradato in Lettonia dove era accusato di detenzione di esplosivi e attività sovversive, è stato il promotore del referendum per il russo lingua ufficiale. In caso di successo la discriminazione su base linguistica dei russofoni sarebbe decaduta e la lingua russa avrebbe affiancato quella lettone come lingua di Stato. Il referendum, fallito, ha dato il via al progetto politico: il programma di Lindermans è la secessione delle regioni a più alta densità di popolazione russofona. Anzitutto il Latgale.

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