Capitan Harlock, la censura e Berlusconi

Pubblicato il 28 Luglio 2012 alle 17:02 Autore: Matteo Patané

Analogamente, le parole di Harlock allo stesso Dayo, “Combatti per ciò in cui credi e non per obbligo” sono state considerate non prudenti da divulgare in un Paese in cui era in corso una vera e propria guerra in corso con le Brigate Rosse, e in cui ancora diverso tempo dopo un Presidente della Repubblica, il DC Cossiga (all’epoca della messa in onda di Harlock Presidente del Consiglio), rifiutò di firmare una legge sull’obiezione di coscienza. Emerge quasi con tristezza in queste operazioni il tentativo dello Stato di estirpare sul nascere sentimenti antipatriottici considerata l’incapacità di garantire la fedeltà dei propri cittadini attraverso una buona politica.

In taluni casi è persino evidente la mano che guidò la censura: il corpo militare al servizio del governo terrestre che da la caccia ad Harlock non brilla certo per efficienza, e spesso è proprio a causa dei soldati che il Consigliere Kirita fallisce nei suoi tentativi di assicurare alla giustizia del pianeta il pirata. In un episodio i soldati sono tutti in licenza, in un altro invece si rifiutano di intervenire perché è l’ora del tè, e alle parole infuriate di Kirita viene risposto “Ma non possiamo andare contro lo statuto dei lavoratori”. Nemmeno dieci anni prima il PSI e la triade sindacale (con il nullaosta del PCI) si erano battuti allo strenuo proprio per l’approvazione di una legge che portava il medesimo nome. Vederla sbeffeggiata in questo modo non era evidentemente accettabile, e così la frase si perse nell’edizione italiana.

Poco prima del già citato episodio della bandiera Dayo afferma che il Primo Ministro, interessato soltanto al golf e del tutto inadatto al suo ruolo di guida politica del pianeta, è un codardo; anche questa frase finì nella censura: in un periodo di forti contestazioni sociali evidentemente non era auspicabile lasciar passare un simile messaggio.

Nemmeno la temibilissima Raflesia, regina del pianeta Mazone e nemica dell’umanità, sfugge ai tagli della censura: una donna, sia pure regina, che reprime nel sangue le rivolte del popolo, evidentemente, è un tema troppo forte per la società del periodo.

Il fatto che la serie si rivolgesse ad un pubblico giovane ma comunque più maturo rispetto ad altri anime del periodo, un pubblico che era già sceso in piazza nel ’77 o avrebbe potuto farlo di lì a pochi anni ha sicuramente contribuito a calcare la mano dei censori su un’opera dal forte contenuto di denuncia sociale.
Colpisce, in tutto questo, come la censura di matrice politica non avesse colore o partito, ma arrivasse indistintamente da destra, dal centro o da sinistra. La differenza tra conservatori e contestatori di quegli anni risulta quindi più sfumata di quanto le cronache l’abbiano consegnata poi alla storia: non già uno scontro tra difensori dello status quo e “rivoluzionari”, ma al contrario una costellazione di gruppi di potere ciascuno dei quali desideroso di difendere i propri totem anche attraverso la manipolazione del pensiero via la censura televisiva.

Berlusconi, senza alcun dubbio, si pone ad un livello nettamente differente di utilizzo politico della televisione. L’analisi storica del mondo televisivo prima del suo avvento, tuttavia, consente di rispondere a chi vede in Berlusconi una semplice anomalia del sistema politico italiano, un fatto transitorio terminato il quale sarà possibile rientrare in uno stato di normalità.
Berlusconi altro non è che il l’ultimo e più visibile frutto di un fertile humus di supina e consapevole accettazione alla manipolazione dell’opinione pubblica, l’evoluzione spinta all’estremo di una cultura, tipicamente italiana, di creazione del consenso fine a sé stesso, di negazione dei problemi sociali, di lassismo politico.
Per sconfiggere tutto quello che la cronaca recente ha battezzato con il nome di berlusconismo non serve – soltanto – andare oltre Berlusconi; ben più importante è consentire a Capitan Harlock, paladino virtuale del libero pensiero, di vincere la sua battaglia contro la censura politica di qualsiasi colore.

L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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