Regionali 2010: l’uso del voto di preferenza

Pubblicato il 2 Maggio 2010 alle 21:17 Autore: Gabriele Bracci
elezioni regionali - Termometro Politico

 

Passiamo infine al Sud che continua ad essere, come lo era nella Prima Repubblica, la macroarea con il tasso di preferenza più elevato. Lo “scettro” del vincitore spetta alla Campania che per questa tornata elettorale ha fatto registrare un dato pari al 90,6%.  Ciò significa che quasi la totalità di coloro che hanno espresso un voto di lista valido lo hanno fatto esprimendo anche un voto di preferenza. Occorre comunque precisare che tale dato, rispetto a quello delle altre regioni, risulta essere sovrastimato dalla possibilità che gli elettori campani avevano di esprimere fino a 2 preferenze. Storicamente, infatti, le regioni del sud con una più alta propensione all’utilizzo del voto di preferenza sono la Calabria e la Basilicata, che in queste elezioni presentano dei “tassi di preferenza” rispettivamente pari a 84% e 85,9%. Fanalino di coda è invece la Puglia con il 75,7%. Un dato che, pur essendo più basso tra le regioni del Sud, risulta enormemente più alto rispetto a quello delle regioni del Nord e del Centro. Oggettivamente risulta difficile interpretare tali dati come una particolare propensione degli elettori meridionali di incidere sugli eletti e di esprimere un diffuso voto di opinione. Essi, piuttosto, sembrano essere il frutto di privilegiati rapporti personali che si instaurano tra il candidato e l’elettore, e che, inevitabilmente, danno luogo a rapporti clientelari ed a fenomeni come il voto di scambio. La qualità della democrazia, in questo caso, non può che risentirne.

Aggregando quindi i “tassi di preferenza” di tutte le regioni nelle quali si è votato abbiamo un dato totale del 54,2% (nel 2005 era del 56,1%). Ciò significa che in Italia, per le elezioni regionali, più di un elettore su due quando entra nella cabina elettorale ed esprime un voto valido, lo fa indicando il nome di un candidato.

 

Tale dato, anche se ancora piuttosto elevato, si presenta però per la prima volta dal 1995 in diminuzione. Fino ad oggi infatti il trend era sempre stato positivo, e questo indipendentemente dall’affluenza alle urne che, nonostante presentasse un trend discendente, vedeva al contrario un aumento costante del tasso di preferenza.

 

Per concludere, una piccola riflessione sul voto di preferenza pare opportuna. Come sappiamo tale strumento è oggi precluso per il rinnovo del Parlamento italiano, mentre è ancora utilizzabile per le appena analizzate elezioni regionali, per i comuni, e per il rinnovo del Parlamento europeo. Attualmente molto si sta discutendo sull’opportunità o meno di reintrodurlo anche a livello nazionale, e molte delle critiche che vengono fatte all’attuale normativa (l. 270/2005) sono oggettivamente fondate. Tuttavia, anche alla luce dei dati appena analizzati, bisogna tenere sempre presente che il voto di preferenza rischia di portare con sé una dose di corruttela e clientelismo. Molti dei suoi sostenitori sembrano ignorare tutto ciò, altri invece ne sono consci e definiscono tali distorsioni come un male minore comunque da sopportare.

 

La direzione da intraprendere potrebbe invece essere quella di uscire dalla contesa “preferenza sì/preferenza no”  per iniziare, piuttosto, a parlare di preferenza “come”.  E cioè di prendere in considerazione sistemi proporzionali a “lista flessibile” dove l’elettore può comunque esprimere un voto di preferenza per un candidato, ma l’ordine della lista presentata dal partito può essere modificato solo a certe condizioni. In Austria, ad esempio, per risalire l’ordine di lista occorre che un candidato ottenga almeno un sesto dei voti totali ottenuti dal partito in una data circoscrizione.