Referendum: pro e contro

Pubblicato il 10 Maggio 2009 alle 22:05 Autore: Salvatore Borghese
settimana politica

Chi sostiene che il guzzettum sarebbe peggio della Acerbo lo fa sulla base del fatto che, oltre a condividere il concetto di premio di maggioranza (55% invece di 2/3) alla lista più votata, non prevedrebbe una soglia minima per poter accedere a tale premio, che nella Acerbo era invece individuata nel 25%. Ora, l’attuale legge Calderoli prevede che il premio di maggioranza del 55% possa essere assegnato anche ad una coalizione (ed è questo il punto che il referendum chiede di abrogare), ma non esclude affatto la possibilità che questo possa andare anche ad una lista singola, se questa risulta avere la maggioranza relativa: inoltre, le soglie di sbarramento previste dalla Calderoli per le coalizioni sono così basse (10% nazionale alla Camera, 20% regionale al Senato) che il terrificante scenario paventato dai critici che ricorrono a questo argomento risulta essere altrettanto probabile oggi, anche senza che vinca il referendum. Se vi sembra estremamente improbabile che una coalizione di partiti prenda solo il 20-30%, dovrebbe sembrarvi almeno altrettanto improbabile che un partito, in uno scenario come quello delineato dal guzzettum possa risultare il più votato e prendere meno del 30-35%. La bipolarizzazione del voto, come insegna Sartori, prescinde dalla legge elettorale, non ne è derivato; e questo è tanto più vero nel caso italiano, in cui da qualche anno si tende ad una semplificazione partitica che sta portando ad avere due partiti grandi (25-40%), pochi di medie dimensioni (5-10%) e per il resto piccoli o piccolissimi (che non arrivano al 5%).

2) Paragoni improvvidi con la Acerbo a parte, si sente spesso dire che grazie al guzzettum sarebbe un solo partito ad ottenere la maggioranza ed a governare, e questo sarebbe antidemocratico. Sicuramente sarebbe insolito, per la tradizione dell’Italia repubblicana, ma sul fatto che sia antidemocratico sorgono molti dubbi. Elenchiamo qui solo un piccolo campione dei paesi in cui un solo partito ha la maggioranza in parlamento e governa: Francia; Regno Unito; Germania (anche se più spesso qui si ha un grande partito coalizzato con uno medio-piccolo); Spagna; Stati Uniti d’America. Non sono certo esempi di dittature. La risposta appropriata a chi fa questa critica è la seguente: non è una legge elettorale a determinare se in un paese il sistema politico è democratico o meno; i parametri che definiscono una democrazia sono altri, e segnatamente i sette punti magistralmente indicati dal politologo americano Robert Dahl sono un riferimento obbligato per un’analisi degna di questo nome. Il fatto che in Italia un paio di questi punti siano messi da anni in discussione (per quanto riguarda libertà di espressione e varietà/alternatività delle fonti di informazione per i cittadini) non è affatto dovuto ad eventuali storture dei sistemi elettorali che abbiamo avuto nel corso degli anni.

3) Dal fronte del centrosinistra più di una voce si è levata infine sull’opportunità di appoggiare una modifica della legge elettorale che, allo stato dei fatti, consentirebbe a Berlusconi, in caso di elezioni anticipate, di ottenere agevolmente la maggioranza in entrambe le Camere senza avere più nemmeno bisogno dell’appoggio della Lega, e addirittura di poter cambiare la Costituzione a suo piacimento. Cominciamo da quest’ultimo punto, davvero il più ridicolo. Per cambiare la Costituzione la procedura prevede una doppia lettura ed approvazione a maggioranza assoluta da parte di Camera e Senato; ma al momento della seconda votazione sarebbe necessario approvare la modifica costituzionale con una maggioranza di almeno i due terzi, altrimenti si renderebbe necessario un referendum confermativo, come già accaduto nel 2001 e nel 2006. E come farebbe Berlusconi con il 55% dei parlamentati a cambiare la Costituzione come pare a lui se avesse bisogno dei due terzi o comunque di una conferma popolare tramite referendum? Non si sa, non c’è alcuna differenza con la situazione attuale e non si capisce il senso di questa critica, spiace anzi che sia stata fatta propria da un intellettuale colto come Francesco Pardi.

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L'autore: Salvatore Borghese