Referendum: pro e contro

Pubblicato il 10 Maggio 2009 alle 22:05 Autore: Salvatore Borghese
settimana politica

Ma il problema di fondo di questa critica sta più alla radice, e chiama in causa la stessa eventualità che si vada automaticamente alle urne subito dopo la vittoria del referendum. A decidere di andare al voto anticipato non può essere certo il presidente del Consiglio, per quanto potente come Berlusconi. Se il governo cadesse per un voto di fiducia contrario, come ha annunciato come probabile la Lega se dovesse passare il referendum, non è assolutamente automatico che si debba ricorrere al voto anticipato. La Costituzione prevede che il Presidente della Repubblica deve verificare se esista una maggioranza parlamentare che possa concludere la legislatura, e deve ascoltare in merito i presidenti delle due Camere e i capigruppo dei partiti. Se, come è probabile, il Popolo della Libertà sostenesse la validità del guzzettum come legge elettorale da usare subito per nuove elezioni, tutti gli altri partiti preferirebbero discutere di una nuova legge, e avrebbero i numeri per approvarla anche senza il PdL (inoltre un’intesa, tra i soggetti in questione, potrebbe tranquillamente essere trovata sulla legge elettorale in vigore in Germania, o persino sull’abrogazione in toto della Calderoli ed un automatico ritorno al mattarellum). Se invece la Lega non facesse cadere il governo, avrebbe lo stesso i numeri per cambiare la legge elettorale insieme ai partiti dell’opposizione, e qualcosa si è già mosso in questo senso.

In ultimo, ma non da ultimo, occorre considerare che non ha senso considerare come “eterno ed immutabile” l’attuale consenso maggioritario di Berlusconi, e che negli scorsi anni i partiti che poi hanno formato il Partito democratico più volte hanno ottenuto più voti della somma di Forza Italia ed Alleanza Nazionale, ovvero i partiti che sarebbero confluiti nel Popolo della Libertà. Oggi Berlusconi gode di un forte consenso, ma per quanto tempo esso durerà, soprattutto considerando l’instabilità del sistema politico italiano, non è possibile dirlo; quel che si può certamente dire è che boicottare il referendum perché si è convinti di perdere le prossime elezioni non è certamente un argomento degno di questo nome.

Stupisce che queste semplici considerazioni siano sfuggite anche ad un eminente costituzionalista come Stefano Rodotà nel momento in cui esprimeva le sue critiche.

A questo punto urge fare chiarezza sull’intento dei promotori del comitato referendario; nell’impossibilità di abrogare totalmente la Calderoli tramite referendum, essi hanno lavorato di “cesello” per farne scaturire una legge che, se lasciata immutata, aveva come obiettivo quella di produrre maggioranze parlamentari, e quindi governi, più omogenei e di conseguenza più stabili. Non bisogna dimenticare che il contesto in cui è stato promosso questo referendum è il periodo del governo Prodi, sostenuto da una maggioranza di una decina di soggetti, molti dei quali minuscoli, ciascuno con un enorme potere di ricatto vista la risicatissima maggioranza al Senato. In seguito con l’autoriforma del sistema partitico, avviata dalla scelta del Pd di andare alle ultime elezioni senza la sinistra “radicale”, la situazione a livello di stabilità è molto migliorata, a prescindere dal giudizio politico sull’attuale maggioranza; ciò nonostante il governo continua ad essere un governo di coalizione che necessita del sostegno della Lega Nord. E in ogni caso l’intento dichiarato del duo Segni-Guzzetta era quello di fornire ai partiti uno “stimolo” per superare la pessima legge Calderoli, così come il referendum del 1993 aprì la strada alla riforma (attuata in sede parlamentare) della legge elettorale che sfornò il mattarellum. I referendari dell’epoca, tra cui i radicali, gridarono al tradimento della volontà popolare espressa con il referendum per la non coincidenza della nuova legge con il testo referendario; ma questo precedente ci ricorda che non è affatto scontato che una vittoria del referendum “blindi” il testo uscito dalla vittoria del “sì”, ed anzi, come abbiamo visto i numeri in Parlamento suggeriscono che esiste una maggioranza trasversale che possa mettere mano ad una nuova legge, o comunque abrogare la Calderoli (modificata o meno).

4) e 5) Quanto appena detto risponde alle osservazioni (legittime) sull’inadeguatezza dell’istituto del referendario rispetto ad una materia così delicata come la legge elettorale (per il suo essere una “regola del gioco” fondamentale) e sulla preminenza invece del Parlamento; e risponde, anche, al timore infondato, anche questo espresso dal professor Rodotà, che una vittoria del “sì” possa significare che la legge deve restare necessariamente il guzzettum.

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L'autore: Salvatore Borghese