Tanto rumore per nulla: un pronostico sull’esito dei ricorsi elettorali in Piemonte

Pubblicato il 12 Luglio 2010 alle 15:57 Autore: Andrea Carapellucci
cota dimissioni dei consiglieri in Piemonte

Proprio sulla vicenda penale di Michele Giovine si concentrano le speranze di Mercedes Bresso, ex presidente sconfitta da Cota, la quale, in più occasioni, ha pubblicamente dichiarato di aspettarsi l’annullamento del voto e di ritenere “più probabile” l’annullamento a seguito del rinvio a giudizio di Giovine.

 

L’esito del processo penale potrebbe rivelarsi, in effetti, l’elemento determinante per l’accoglimento o meno dei ricorsi: vediamo perché.

 

E’ stata contestata l’ammissione di una lista per la falsità delle firme di accettazione della candidatura. La sottoscrizione dei candidati è autenticata da pubblici ufficiali (in questo caso, lo stesso Giovine e un suo famigliare, consiglieri comunali e quindi abilitati, secondo la legge, a procedere all’autenticazione). La falsità di un atto pubblico, quale l’autenticazione delle firme in questione, può essere contestata solo attraverso un particolare procedimento, denominato “querela di falso”. Nel nostro Paese, il giudice competente a decidere sul ricorso elettorale (il T.A.R.) non è però competente (a causa di una norma ormai antica e anacronistica) a decidere sulla querela di falso, dovendo necessariamente attendere, sul punto, il giudizio di un giudice ordinario, civile o penale.

 

I ricorrenti, ben consapevoli di questa difficoltà, che comporta un inevitabile allungamento dei tempi del giudizio, hanno prudentemente disposto una azione ad ampio raggio: da un lato, infatti, hanno sostenuto che la querela di falso non sarebbe, nel caso di specie, necessaria, in quanto sarebbe stato provato (dtramite testimonianze rese al P.M. da alcuni candidati della lista di Giovine) che l’autenticazione delle firme è avvenuta al di fuori del territorio del Comune nel quale gli autenticatori sono consiglieri. Nell’autenticare la firma, pertanto, l’imputato non sarebbe stato pubblico ufficiale, rendendo non necessario l’esperimento della querela davanti al giudice ordinario. Senza dilungarsi eccessivamente sul punto, è improbabile che questa eccezione sia accolta: pare infatti che gli autenticatori abbiano “prudentemente” attestato di aver raccolto le accettazioni nel proprio Comune d’elezione, commettendo (secondo gli accusatori) un ulteriore reato, ma rendendo indispensabile la querela di falso (o il giudicato penale) per la sua contestazione. I ricorrenti si sono comunque riservati di proporre – in futuro – querela di falso davanti al Tribunale civile competente, nel caso in cui dal giudizio penale sul reato di falso non venisse accertata la falsità.

 

Questo è il punto centrale della vicenda, al momento. Il processo penale a carico di Giovine inizierà non prima di dicembre. Potrebbe concludersi con una sentenza che accerta la falsità delle firme e delle autenticazioni, ma è anche possibile (forse probabile) che l’interessato chieda il patteggiamento. Nell’ordinamento italiano – ecco una seconda peculiarità di cui pochi sono a conoscenza – non è necessario, per patteggiare, dichiararsi colpevoli, come accaddrebbe ad esempio negli Stati Uniti. La sentenza di patteggiamento, più correttamente denominata “sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti”, non accerta pertanto la commissione del reato. Nel nostro caso, non accerterebbe la falsità delle firme (anche se sul punto non tutti sono concordi). Di conseguenza, l’esito del processo richia di essere, dal punto di vista del ricorso elettorale, o tardivo (tre gradi di giudizio, se Giovine non ricorrerà al patteggiamento) o inutile (nel caso di patteggiamento).

 

E’ verosimile, pertanto, che indipendentemente dall’esito del processo penale, i ricorrenti “anti-Giovine” dovranno comunque esperire la querela di falso davanti al Tribunale civile. Ciò comporterà la sospensione del giudizio davanti al T.A.R. fino a sentenza definitiva, con un significativo allungamento dei tempi: anche in questo caso sono possibili, infatti, ricorsi in appello (presso il Consiglio di Stato) e in Cassazione.

 

Esiste quindi il rischio che, almeno per quanto riguarda il ricorso proposto contro la Lista Pensionati per Cota, il giudizio del T.A.R. non possa intervenire prima di alcuni anni. O addirittura dopo la conclusione della attuale legislatura regionale: nel qual caso, esso sarebbe dichiarato probabilmente inprocedibile per sopravvenuta carenza di interesse.

 

Se ciò è vero, volendo azzardare un pronostico sull’esito del ricorso, tale possibilità deve essere considerata in aggiunta probabile rigetto degli altri due ricorsi contro le liste Verdi Verdi e Scanderebech. Appare quindi evidente come le probabilità di un annullamento del voto, deciso dal T.A.R. Piemonte nella stessa serata del 15 luglio, siano piuttosto scarse.

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L'autore: Andrea Carapellucci

Analista giuridico di TP, si è laureato in Giurisprudenza all’Università di Torino ed è dottorando in Diritto amministrativo presso l’Università degli Studi di Milano.
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