Politica in TV: informazione o propaganda? Un’introduzione.

Pubblicato il 5 Novembre 2009 alle 02:59 Autore: Redazione

Benito Mussolini fece fondare l’istituto Luce (L’Unione della Cinematografia Educativa) subito dopo l’assassinio Matteotti, così da far imparare al popolo quali erano le regole del nuovo tempo che si preparava, e quale era l’unica Italia che tutti erano autorizzati a conoscere. Iniziò dunque una martellante campagna di cinegiornali propagandistici, trasmessi prima di ogni film; la televisione non esisteva ancora, ma già per il Duce la cinematografia era “l’arma più forte”. Alla stessa logica rispondono i cinegiornali di propaganda Nazista, e anche le produzioni della Russia Staliniana. In una di queste venne diffusa per tutta l’Unione Sovietica l’immagine di un colossale palazzo costruito in piena Mosca per celebrare la potenza della Rivoluzione Sovietica, con tanto di mastodontica statua di Lenin sul tetto: solo che il palazzo non esisteva, non fu mai portato a termine perché impossibile da costruire. Ma tutti lo videro ugualmente.

Eppure, è proprio recuperando alcune categorie… marxiste che giungeremmo alla conclusione che il mezzo televisivo, usato in modo distorto, è un potentissimo strumento di ideologia e di controllo delle masse, dunque di oppressione. E questo perché senza gli adatti strumenti critici e culturali, un cittadino-elettore non può intendere le cose diversamente da come gli vengono presentate: per riprendere la metafora del testimone oculare è come se, per mezzo delle immagini trasmesse, egli in ogni momento fosse li, davanti al fatto che si compie, davanti alla persona che parla. La vede muoversi, parlare, dichiarare: non c’è più bisogno, in apparenza, di nessun filtro o mediazione. A questo proposito Marshall McLuhan, il sociologo capofila della “Scuola di Toronto” che sul tema ha scritto pagine più che fondamentali, ebbe a dire che “ la televisione porta la brutalità della guerra nel comfort del salotto. Il Vietnam è stato perduto nei salotti d’America, non sui campi di battaglia del Vietnam.“

Anche Pier Paolo Pasolini, nel suo celebre intervento sulla civiltà dei consumi, conclude che la televisione è “uno strumento di potere e un potere essa stessa”, poiché è riuscita dove i fascismi avevano fallito, nella distruzione delle comunità particolari, dei rapporti umani, nell’asservimento dell’uomo al consumo e all’omologazione. Sebbene dunque influenzato dalla sua visione politica della realtà, il giudizio del più grande intellettuale della sinistra italiana sulla televisione è molto netto. Karl Popper (Cattiva maestra televisione) è ancora più lapidario: per fare televisione, dice, ci vorrebbe una patente specifica, così da evitare di fare danni.

Abbiamo poco fa accennato ad un elemento che riveste grande importanza all’interno della questione, ovvero quello degli strumenti critici e culturali a disposizione dello spettatore. Abbiamo inoltre sostenuto che l’immagine, essendo senza mediazione, non necessita di un approccio razionale ma si accontenta di uno emozionale: in realtà, la questione è più complicata. Lo stesso Sartori, che introduce la distinzione, chiarisce che questa è più una cattiva abitudine da non seguire che una regola matematica dall’applicazione automatica: è possibile, dunque, evitare un approccio acritico al mezzo televisivo. E in questo, la più grande parte della responsabilità sta nelle mani di chi la trasmissione televisiva la produce concretamente: andiamo allora ad approfondire questi aspetti. Dopo una veloce carrellata delle più eminenti opinioni in merito infatti il problema è chiarito a sufficienza nei suoi elementi teorici: rimane da vedere se e come esso si possa risolvere. Nel prossimo intervento cercheremo di approfondire alcune ipotetiche possibilità di intervento dal versante politico, culturale o giuridico.

di Tommaso Caldarelli, tratto dal suo blog personale.

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