La Lega di Maroni, sospesa fra trionfo e spaccatura

Pubblicato il 18 Febbraio 2013 alle 18:54 Autore: Federico De Lucia

Se il Carroccio è ancora circa alla metà delle percentuali precedenti alla crisi, è innegabile che ci sia stata una reazione, e che essa non sia solo una semplice trovata mediatica ma la conseguenza di una vera e propria ridefinizione politica.

maroni

Proprio in questo delicato momento di rilancio, a Maroni si è presentata una grande opportunità. Una opportunità che Bossi, in trent’anni di leghismo, non ha mai concretamente avuto. La caduta della giunta Formigoni ha fatto precipitare verso le elezioni la Lombardia. Il pesce grosso: il più grosso possibile per i leghisti.

L’unica grande regione del nord non ancora nelle loro mani. Per essere precisi, l’opportunità non consisteva tanto nel semplice fatto di poter concorrere a questa competizione con una immagine rinnovata rispetto a quella dell’anno prima, quanto nel fatto di potervi partecipare come unico soggetto strutturato nel centrodestra. Nel 1995, in un momento di fortissimo successo leghista, solo pochi mesi dopo la rottura con Berlusconi e l’inizio della fase apertamente secessionista, Bossi candidò Speroni per il Pirellone e la Lega ottenne il 18,7% dei voti a livello regionale. Ma a quel tempo, il Formigoni di una rampante Forza Italia ebbe facilmente la meglio contro il centrosinistra, anche senza l’appoggio dei leghisti. Ciò che è cambiato oggi, e che fa la fortuna di Maroni rispetto al Bossi di 18 anni fa, è l’inesistenza di Berlusconi. Nel 1995 FI e AN presero assieme quasi il 40% dei voti lombardi: oggi il PDL si accinge a collocarsi attorno al 15%. Mentre allora era Forza Italia il baricentro, il polo di attrazione del centrodestra, oggi è la Lega a recitare questo ruolo (non perché sia più grande del PDL, ma perché a differenza di quest’ultimo, ha una linea politica chiara). Maroni ha fiutato la grande occasione, e ci si è buttato con tutto il suo peso.

Contrariamente rispetto al Bossi di allora, Maroni si è candidato in prima persona, mettendo sul piatto la sua immagine, stimata e riconosciuta anche al di fuori del partito. Perfettamente consapevole di quanto gli fosse necessaria l’alleanza con ciò che resta del PDL per avere concrete speranze di successo, ma anche di quanto questa alleanza costasse alla sua base elettorale solo recentemente ripresasi, Maroni ha deciso di far pesare in modo assolutamente prepotente la sua posizione di forza, e ha ottenuto da Berlusconi sostanzialmente tutto, sia sotto il profilo programmatico, sia sotto il profilo delle candidature (persino di quelle a Roma).

L’opportunità è ghiotta davvero: pur guidando un partito ben inferiore a quello che soli tre anni fa prendeva il 26% dei voti regionali, Maroni ha la possibilità di diventare presidente della Regione più grande d’Italia, di annientare definitivamente il suo alleato d’area (da parte sua, sorprendentemente ansioso di farsi annichilire) e di completare il tridente nordico con Zaia e Cota. Un Nord interamente verde è un’arma potentissima, in grado di porre condizioni a Roma come mai era stato possibile fare prima. Sarebbe un vero e proprio trionfo.

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