Sopravvivere a Grillo. Storia (breve) del Partito Democratico

Pubblicato il 4 Marzo 2013 alle 19:42 Autore: Livio Ricciardelli

Con le ultime elezioni politiche, quelle della “maturità del Pd”, e soprattutto con il suo complesso risultato gran parte delle motivazioni tendono ad essere viste in una diversa ottica.

La semplificazione del sistema politica italiano non sembra più un obiettivo praticabile: la presenza di quattro poli con oltre il 10% porta ad elaborare difficili soluzioni politiche per raggiungere la governabilità. Al tempo stesso il notevole calo di voti delle due formazioni principali del paese, centrosinistra e centrodestra, e il ritorno della proliferazione di liste e partiti nella coalizione berlusconiana pare aver disatteso quell’obiettivo prefissato.

La vicenda legata alla peculiarità della sinistra italiana solo in parte sembra aver trovato seguito. Di fronte al pluralismo delle culture politiche del’Ulivo il Pd negli ultimi anni sembra assumere tendenze, atteggiamenti e riferimenti culturali tipiche di determinate e specifiche culture politiche.

Portando il Pd a rifugiarsi in un ottica strettamente identitaria, capace di farlo apparire solo come “parte” della grande storia che dovrebbe rappresentare.

In questo modo tra l’altro non è vero che il Pd, essendo più piccolo ma omogeneo, rischia di subire meno frizioni e meno tendenze divisorie al suo interno. Anzi. Molto spesso in politica le ferite e le rotture più difficili da rimarginare non sono quelle sulla politica o sui temi, ma quelle “componentistiche” all’interno di una stessa famiglia.

Infine anche l’aspetto politico-culturale di un graduale superamento dell’esperienza socialdemocratica, per giungere ad un riformismo del nuovo secoli, sembra essere sfumata.

E paradossalmente è proprio il voto del 24 e 25 febbraio ci da’ la prova di ciò con un calo drastico dei due poli principali e un aumento vertiginoso di una forza antisistema.

Quelle stesse dinamiche che altrove in Europa (Olanda, Lussemburgo, Austria) hanno portato a governi di coalizione tra forze che politiche avverse ed eterogenee proprio per evitare di stringere patti con partiti antisistema.

E’ un caso poco italiano, perché è quanto mai più difficile in Italia rafforzarsi con una destra come quella berlusconiana e perché il Movimento Cinque Stelle non ha quelle caratteristiche nettamente anti-sistema e anti-costituzionali che hanno altri movimenti di protesta in giro per il continente.

Ma questa situazione di stallo che si stava registrando a livello europeo rendeva manifesta la mancata autosufficienza delle forze socialdemocratiche e la necessità di un passaggio ulteriore.

L’impossibilità e la grande difficoltà nel varare un governo in Italia testimonia come non mai quanto il recinto e l’elettorato potenziale del Pd tenda a diminuire anziché aumentare.

Se una situazione di questo tipo perdurerà e non si tornerà alle reali motivazioni che hanno spinto tutti ad abbandonare la propria casa per questo nuovo tragitto, il Partito Democratico rischia di ricalcare la parabola del comunismo secondo il laconico aforisma dell’umorista americano Will Rogers: il comunismo è come il proibizionismo, l’idea era buona ma non ha funzionato.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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