Referendum: gli effetti dei primi due SÌ

Pubblicato il 17 Giugno 2011 alle 09:49 Autore: Giuseppe Ceglia
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Eliminata la remunerazione, il secondo esito referendario dovrebbe essere l’abbassamento della tariffa idrica (già molto bassa rispetto alla media europea); se ciò non dovesse accadere il Codacons ha già previsto una class action risarcitoria per i consumatori.

Ma arriviamo al dunque: ora che la remunerazione è stata abrogata, chi ne farà le veci? Chi e dove troverà i 64,12 miliardi di euro (calcolati nel rapporto Blue Book 2010 di Federutility) che bisogna investire nel settore idrico nei prossimi trent’anni?

Non avendo più interessi economici, i privati si faranno da parte. Anche le banche, che prima del referendum potevano fornire prestiti ai gestori con la sicurezza di poter contare sul tasso di remunerazione garantito ai loro clienti, adesso non vedono più dall’altra parte regole chiare che diano certezze sul ritorno economico futuro. Gli investimenti, perciò, saranno prerogativa dei gestori pubblici che difficilmente troveranno istituti di credito disponibili a finanziarli alle condizioni odierne. È pacifico ritenere che gli interessi sui mutui, senza le vecchie garanzie, aumenteranno.

In teoria le amministrazioni e le società pubbliche avrebbero diverse opzioni su come coprire i costi di gestione e far fronte agli investimenti: possono distribuire tutti i costi in tariffa; possono far leva sulla fiscalità; possono riversare tutti i costi sul debito dell’ente; possono evitare di fare investimenti limitandosi alla copertura dei costi. Tutto ciò in teoria.

In pratica, fare investimenti riversando tutti i costi sul debito non è possibile perché ci sono dei vincoli legati al Patto di stabilità interno. Lo stesso dicasi per la prospettiva di non effettuare per niente gli investimenti idrici poiché ci sono degli standard minimi da rispettare sulla qualità dell’acqua (pena sanzioni), dettati dall’Unione Europea. Restano perciò due soluzioni: o si riversano tutti i costi sulla tariffa o si riversano sulle tasse.

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Spalmare i costi di gestione e di investimento sulla tariffa appare la soluzione più equa: tutti i cittadini pagherebbero secondo i propri consumi e le amministrazioni potrebbero contare su un sicuro ritorno economico. Tuttavia, si andrebbero in parte a tradire le volontà di chi ha votato “sì” al secondo quesito per non avere maggiorazioni di prezzo sulla tariffa idrica. Non si può dire lo stesso della soluzione fiscale: il contibuente non pagherebbe più in relazione ai propri consumi e sarebbe penalizzato nel caso in cui l’evasione fiscale – e non è una possibilità remota – si attesti a livelli medio-alti.

Per le amministrazioni che, specialmente al Sud, non godono di bilanci floridi e al tempo stesso sono costrette a rimediare a perdite idriche cospicue o ad effettuare grossi lavori sugli impianti di depurazione non sarà facile capire come muoversi nei prossimi mesi.