Guida al governo (e ad Enrico) Letta

Pubblicato il 29 Aprile 2013 alle 10:03 Autore: Livio Ricciardelli

Per il resto il governo, giornalisticamente parlando, può dirsi un giusto mix tra nomi a sorpresa e caselle che non ti aspetti: nomi come quelli della Idem, di Zanonato, di Bray, di Claudio Trigilia e di Cécile Kyenge sono nominativi del tutto a sorpresa mai usciti in nessuna indiscrezione giornalistica. Al tempo stesso ha stupito la scelta di collocare alcuni nomi presso alcuni dicasteri: il già citato Giovannini o la sorpresa legata a Dario Franceschini, collocato al dipartimento per i rapporti col parlamento e l’attuazione del programma.

Che conclusione possiamo trarne? Si è elogiato il lavoro di Enrico Letta e la sua abilità nella trattativa. In tal senso si è evidenziata la maggiore predisposizione nell’arte del compromesso di Letta rispetto a quella di Bersani. Il tutto in nome della passata esperienza nella Democrazia Cristiana del neopremier.

In realtà nel profilo di Enrico Letta, e anche nelle sua azione politica, non si evidenzia mai con nettezza l’appartenenza del presidente del consiglio al ceppo cristiano-democratico.

Per certi versi Enrico Letta è da considerarsi un ex democristiano anomalo, su questo simile a Matteo Renzi. Di fronte ad una tradizione culturale del popolarismo italiano che, sulla falsariga del compromesso storico, non ha esitato a fondersi con l’altra cultura politica maggioritaria del nostro paese (esempio di questa categoria: Rosy Bindi) e di fronte ad una cultura del cristianesimo democratico gelosa della sua autonomia quasi da essere ostile, in una primissima fase, al progetto del Pd e capace di preservare una certa dose di autonomia anche nel nuovo partito (esempi: Franco Marini e Giuseppe Fioroni), la cultura politica di Letta risente di contaminazioni dalla tradizione liberaldemocratica. In un certo senso ricorda (senza scomodare la definizione di “liberista cristiano”) Giuseppe Pella e il suo desiderio di rendere la dottrina sociale della Chiesa un club non esclusivo.

Non a caso Letta è stato, alle primarie fondative del Pd nel 2007, il preferito di Romano Prodi e, c’è da scommetterlo, anche di Giorgio Napolitano se si considera il sostegno del suo ex pupillo Umberto Ranieri dato all’allora sottosegretario di stato alla presidenza del consiglio.

In questo senso, pur appartenendo all’ampia categoria dei seguaci di Nino Andretta, Letta sembra sempre più in grado di andare oltre agli steccati politici del passato. Con discrezione ed una certa dose di gelosia. Cercando, ça va sans dire, di non scadere in un bieco minoritarismo tipico di gran parte della cultura liberale italiana.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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