Speciale ‘Nordland’: l’Islanda al voto
Il centrodestra ha giocato la sua campagna elettorale promettendo un abbassamento delle tasse e un alleggerimento proprio del peso dei mutui immobiliari. Il governo uscente ha pagato il diffuso malcontento per una politica di austerity che ha evitato la bancarotta dell’isola ma ha anche lasciato gli islandesi più poveri. E così si chiude amaramente l’esperienza del governo di centrosinistra, un governo ritrovatosi al potere sull’onda della rabbia popolare nel febbraio del 2009 e poi confermato nel voto di aprile dello stesso anno. In quell’occasione, l’Alleanza Socialdemocratica raccolse il 29,8 per cento.
La premier Sigurðardóttir aveva annunciato mesi fa di non correre per una riconferma, lasciando il timone del partito nelle mani di Árni Páll Árnason. Una mossa che non è servita a evitare il tracollo elettorale. È un destino, quello del governo guidato da Sigurðardóttir, che ricorda quanto accaduto altrove in giro per l’Occidente: un governo lodato all’estero per il modo in cui ha gestito la gravissima crisi del 2009 (raccogliendo il plauso del Fondo Monetario Internazionale, delle agenzie di rating e della comunità mondiale) ma congedato senza tentennamenti dalla popolazione. qualche giorni fa, l’agenzia Bloomberg ha raccolto l’opinione di Eirikur Bergmann, docente di scienze politiche all’università di Bifröst: “È difficile diventare popolari tagliando i servizi e alzando le tasse”. Una sintesi efficace.