Non passa l’abolizione delle province

Pubblicato il 12 Luglio 2011 alle 09:47 Autore: Matteo Patané

Dietro il caso che ha spaccato l’opposizione la scorsa settimana ci sono delle vere divergenze politiche e programmatiche

Leggendo il testo dell’Atto 1990 si nota come sia in effetti una legge molto semplice: i primi otto articoli di fatto eliminano ogni traccia delle province dalla Costituzione, mentre il nono dichiara che il trasferimento delle competenze delle province ai comuni e alle regioni deve essere regolato con un’altra entro un anno dall’entrata in vigore della legge costituzionale di abrogazione. Le critiche che il Partito Democratico rivolge a questa proposta di legge sono quindi corrette: di fatto non fa che tirare una riga sopra la parola province e delega ad un altro provvedimento la ripartizione ed il trasferimento delle competenze verso gli altri enti locali.

Se si esamina l’Atto 4439 si nota però come l’intento della legge sia completamente differente, e la lettura politica che ne deriva non può che essere una sola: il Partito Democratico in realtà non è a favore dell’abolizione delle province, per lo meno non all’abolizione tout-court: a differenza dell’Atto 1990, la parola province non viene espunta dalla Costituzione. Le uniche province per cui si prevede la sopressione sono infatti quelle relative alla Città Metropolitane.

La proposta del Partito Democratico si propone semplicemente di delegare alle regioni l’istituzione, il numero ed i confini delle province, in un’ottica che se da un lato può apparire un semplice scaricabarile, dall’altro risponde alla visione di un’Italia più federale: che sia ciascuna regione a decidere se ed in che modo dividere il proprio territorio, e che siano i cittadini di quelle regioni a pagare per tali suddivisioni.

Il comma 1 dell’articolo 3 rimanda ad una successiva legge dello Stato per identificare le funzionalità delle province; se a prima vista questo passaggio potrebbe essere simile a quello della proposta dell’IdV il fatto che si parli non già di trasferimenti ad altri enti ma di redifinizione delle funzioni di un ente esistente dovrebbe renderne più semplice la scrittura, se non altro considerata la possbilità tutt’altro che remota che le funzioni delle province restino le stesse.
Il vero dubbio su questa proposta, in realtà, è la sua speranza di approvazione: se l’Atto 1990 dell’IdV, presentato il 5 dicembre 2008, è stato votato nel luglio 2011, è chiaro che l’Atto 4439 del PD, presentato il 21 giugno 2011, ha ben poche probabilità di arrivare ad un esito prima della fine della legislatura. Non è quindi chiaro se il PD voglia veramente tentare di far passare la sua proposta o se sia invece solo uno specchietto messo a testimoniare un impegno in realtà senza alcuna possibilità di realizzazione.

La querelle sulle province, dal punto politico, rimarca quindi una volta di più la distanza tra le varie forze del centrosinistra, come già era accaduto con la proposta di legge del PD sulla gestione dell’acqua pubbllica. Di fatto l’Italia dei Valori è per la soppressione dell’istituto delle province, rendendo da quattro a tre i livelli di aggregazione del Paese (comuni, regioni, Stato); il Partito Democratico intende invece spostare la giurisdizione delle province dallo Stato alle regioni, delegando a ciascuna di queste la facoltà di istituire, cancellare e modificare le province interne al proprio territorio.

Ma la soluzione ibrida escogitata dal PD in che modo è inseribile in un programma unitario di centrosinistra, e, soprattutto, è conforme con la volontà dell’elettorato? Bene sarebbe stato per Bersani ed il suo partito indire uno di quei famosi – ormai mitologici – referendum a cui gli iscritti sarebbero stati chiamati sui temi di importanza capitale: quale che ne fosse stato l’esito, il PD avrebbe avuto le spalle coperte al momento del voto e della presentazione della propria controproposta.

Invece, una volta di più, il centrosinistra accusa un pesante danno d’immagine (il PD di appartenenza alla Casta, la coalizione di scarsa coesione), per di più in un momento in cui la situazione politica del Paese richiede senza ulteriori appelli un’opposizione unita per la costruzione di una vera alternativa di governo.

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L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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