Socialdemocrazia: eclissi o rilancio?

Pubblicato il 30 Settembre 2011 alle 12:39 Autore: Livio Ricciardelli
Socialdemocrazia

La terza via blairiana, non mi stancherò mai di ripeterlo, mirava  a conquistare il centro dello spazio politico. Un centro britannico che però è diverso da quello italiano. Non si intende infatti la presa o la conquista del voto cristiano con questo termine. Ma la conquista elettorale della middle-class, quella stessa fascia sociale molto ampia che la Thatcher e i conservatori avevano conquistato consentendogli di permanere al governo per ben 18 anni (stabilendo un’egemonia antropologica, concetto ripresa da D’Alema). Di conseguenza se c’è un problema nella terza via non è tanto nella sua idea in se, che del resto si rifà al trend economico del periodo che vive dell’onda lunga liberale se non liberista ancora in voga negli Usa dagli anni ’70, ma nel fatto che in Europa e nel continente si è cercato di adottare la stessa ricetta in contesti diversi. La terza via era uno stimolo, una sfida. Ma è quanto mai miope assumere questa sfida con le stesse modalità britanniche e non contestualizzando il tutto ad una realtà europea ben diversa da quella d’oltre Manica (da qui la dicotomia capitalismo anglosassone vs capitalismo renano). Del resto il teorico del laburismo rivendica anche la necessità, nella sinistra italiana, di avere meno principi nel senso di rifarsi di più ad un sano pragmatismo. Io sarei d’accordo, soprattutto a seguito della fine delle ideologie post-1989. Ma il pragmatismo di tipo inglese mai potrà essere comparabile con una forma analoga di pragmatismo all’italiana e all’europea. Insomma, occorre senz’altro più pragmatismo nella politica italiana. Ma non scordiamoci che dalla presa della Bastiglia in poi qui nel Continente molto spesso si tende a ragionare per “alte idealità”.

L’intervento di D’Alema invece contrassegna più il versante tattico della stessa questione. Senz’altro i socialisti non potranno che essere protagonisti, insieme ad altri soggetti, di una potenziale riscossa della sinistra continentale. Il limite del discorso casomai sta nel non considerare che quella riscossa della sinistra in Europa, elezioni danesi a parte, potrebbe pur non delinearsi. E’ emerso troppo ottimismo nei confronti delle complesse presidenziali francesi del 2012. A tratti si è sottovalutato l’influenza che il secondo turno ha sull’elettorato d’Oltralpe. Insomma: non si può risolvere la vicenda dicendo “se i socialisti andranno al ballottaggio contro Sarkozy dovranno stringere patti e accordi con altri partner politici”. Solitamente, soprattutto per quanto riguarda il centro, nessun leader politico in Francia è cosi presuntuoso, o stupido politicamente, da schierarsi a spada tratto su uno dei due concorrenti (il caso Bayrou nel 2007 insegna). In Francia si ragione ancora in ottica giscardiana, e nessuno ha il diritto di avere il monopolio del cuore degli elettori!

Del resto la stessa vittoria dei socialdemocratici danesi è considerata da qualche osservatore come una vittoria della sinistra più capace di smarcarsi da quella tradizione classica della socialdemocrazia.

In ogni caso, è questo il succo dell’evento, entrambi gli esponenti politici hanno posto la necessità di una nuova fase e di un superamento che però non escluda l’accorpamento delle conquiste della migliore tradizione della sinistra europea. Come spesso accade in politica, e anche nella vita, presumibilmente la verità sta nel mezzo. E la ricetta più convincente potrebbe essere una versione ben calibrata di questi due interventi apparentemente opposti ma in realtà per certi versi complementari.

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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