Sette spunti di riflessione in vista del mondiale “Brasile 2014”

Pubblicato il 7 Luglio 2013 alle 12:16 Autore: Emanuele Vena

3. Un’identità camaleontica. Ai tempi di Parma e Firenze, Prandelli era accusato di essere sin troppo legato al suo ”4-2-3-1 & derivati”.

Il primo biennio alla guida della Nazionale è stato invece spesso contrassegnato dal 4-3-1-2 a rombo. Con l’esordio ad Euro 2012 è iniziata una fase di sperimentazione che, partendo da 3-5-2, ha portato la selezione azzurra a sapersi destreggiare abilmente tra più moduli.

Alla difesa a 3 vista in Polonia contro Spagna e Croazia ha fatto seguito lo sperimentale 4-3-3 provato a più riprese nell’ultimo anno, per poi giungere alla Confederations, in cui il ct azzurro pare aver accantonato (momentaneamente?) il modulo a due punte. 3-5-2, 3-4-2-1, 4-2-3-1, 4-3-2-1 e il vecchio caro rombo pronto per essere riutilizzato in caso di necessità. La Confederations era anche un’opportunità per sperimentare, e così è stato. E la duttilità mostrata dal gruppo azzurro è un ulteriore motivo di fiducia per i futuri impegni.

4. Una questione di personalità. Su questo aspetto si riscontrano luci ed ombre, che talvolta assumono contorni paradossali. La dimostrazione è data dalle prestazioni di elementi come Candreva, Giaccherini e Diamanti, che giocano con la tranquillità propria dei veterani pur essendo nel giro della Nazionale da appena un paio d’anni. Di riflesso, elementi di assoluto valore tecnico come Aquilani e Montolivo (pupilli, in particolare l’ultimo, di mister Prandelli) continuano ancora a faticare con la maglia azzurra, denotando qualche deficit di attenzione e grinta che rappresenta l’ultimo vero step da superare per consacrarli come grandi calciatori.

Una nota a parte merita De Sciglio: appena 8 presenze in azzurro (di cui ben 4 nella Confederations appena conclusa), 20 anni all’anagrafe, ma ne dimostra almeno 10 in più per la sicurezza con cui agisce su entrambe le corsie laterali di difesa. Lui, Balotelli ed El Shaarawy (nonostante l’ultimo semestre difficile per il piccolo Faraone) sono tre elementi su cui costruire la Nazionale (ed il Milan) del prossimo decennio.

Una cosa è certa: il vero anello di congiunzione tra l’Italia di Prandelli e i vittoriosi azzurri di Lippi è dato dalla capacità di soffrire, in presenza di carenze tecniche e fisiche. Da questo punto di vista, il 4-3 contro il Giappone (con gli azzurri letteralmente in apnea negli ultimi 30 minuti ma capaci del guizzo decisivo in una delle poche sortite offensive) ne rappresenta il simbolo.

Tre note positive della Confederations Cup 2013 dell'Italia: Diamanti, Candreva e Giaccherini

Tre note positive della Confederations Cup 2013 dell’Italia: Diamanti, Candreva e Giaccherini

5. Rebus difensivi. 10 gol subiti in 5 gare, lotterie dei rigori escluse. Per una nazione simbolo di una tradizione calcistica da sempre improntata sul motto in base al quale “si vince innanzitutto non prendendo gol” non è certo un buon biglietto da visita. D’altronde, l’ultima squadra vincente (l’Italia di Lippi nel 2006) prese appena 2 gol in 7 gare (un rigore di Zidane ed un autogol di Zaccardo), piazzando due pilastri della difesa (Cannavaro e Buffon) nei primi due posti della classifica per il Pallone d’Oro 2006.

Tuttavia, analizzando la dinamica dei gol subiti, si può tirare un sospiro di sollievo. Ben 6 reti subite su 10 sarebbero infatti da considerare “sotto inchiesta”, dal gol in fuorigioco di Dante ai grossolani errori in fase di disimpegno da parte di Barzagli e De Sciglio contro Messico e Giappone (che hanno provocato altrettanti rigori, poi realizzati), senza dimenticare i non perfetti posizionamenti di Buffon sulle punizioni di Neymar e Cavani e la discutibile ribattuta sul tiro di Marcelo, preludio al tap-in di Fred per il 4-2 finale dei verdeoro.

Un livello appena accettabile di attenzione (che si da per scontato in competizioni molto più importanti come il Mondiale) avrebbe quindi potuto ridurre drasticamente il pesante passivo azzurro, attestandolo ai livelli delle migliori difese del torneo. Nessun allarme rosso, dunque.

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L'autore: Emanuele Vena

Lucano, classe ’84, laureato in Relazioni Internazionali presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Bologna e specializzato in Politica Internazionale e Diplomazia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Padova. Appassionato di storia, politica e giornalismo, trascorre il tempo libero percuotendo amabilmente la sua batteria. Collabora con il Termometro Politico dal 2013. Durante il 2015 è stato anche redattore di politica estera presso IBTimes Italia. Su Twitter è @EmanueleVena
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