Ineleggibile per (gentile) concessione?

Pubblicato il 12 Luglio 2013 alle 18:56 Autore: Gabriele Maestri
processo mediaset berlusconi

L’esito, in qualche modo, è prevedibile, ma vale comunque la pena rifletterci sopra, visto che la matassa è intricata e difficile da dipanare.

Berlusconi Jr e Confalonieri

Berlusconi Jr e Confalonieri

 Fino al 2008 Rti (Reti televisive italiane) era titolare delle concessioni per la trasmissione di Canale 5 e Italia 1, nonché del titolo abilitativo che consentiva a Retequattro di continuare a trasmettere – nell’attesa del passaggio definitivo al digitale terrestre – pur non avendo ottenuto la concessione nel 1999. Dopo la legge n. 101/2008, le licenze legate alle concessioni (e all’autorizzazione speciale di Retequattro) vengono trasformate in autorizzazioni generali, secondo quanto già previsto dal testo unico della radio-tv del 2005: l’abbandono della concessione, va detto, l’aveva chiesto l’Unione europea e l’Italia ha recepito con molto ritardo quella richiesta Ora, Rti è titolare dell’autorizzazione come fornitrice di contenuti e controlla per intero Elettronica industriale, titolare a sua volta dell’autorizzazione generale come operatore di rete; Rti, per parte sua, è controllata per intero da Mediaset, di cui è presidente Fedele Confalonieri e vicepresidente Pier Silvio Berlusconi.

È quasi certo che, nella Giunta di palazzo Madama, si scontreranno due linee opposte. Da una parte, il M5S e altri sosterranno che le autorizzazioni generali riferibili a Mediaset, in quanto rilasciate da una pubblica amministrazione, rientrerebbero in pieno nell’ipotesi prevista dal testo unico del 1957 (considerando probabilmente, per la «notevole entità economica», il valore delle frequenze e magari dell’intero gruppo); spulciando bene tra le norme, potrebbero anche dire che l’autorizzazione generale da operatore di rete comporta «l’osservanza di norme generali o particolari protettive del pubblico interesse» (condizione posta sempre dalla norma già vista), poiché l’Autorità garante per le comunicazioni aveva precisato che «il provvedimento di assegnazione delle radiofrequenze a ciascun operatore di rete è assoggettato ad obblighi, fra gli altri, di efficiente utilizzo dello spettro stesso e di non interferenza».

Dall’altra parte, il Pdl rimarcherà quasi certamente che Silvio Berlusconi non è vincolato ad alcuna concessione o autorizzazione né in nome proprio, né come legale rappresentante (non fa parte di alcun consiglio di amministrazione); in più, ripeterà che le autorizzazioni generali non rientrano tra gli atti previsti dalla norma del 1957, per cui il problema non dovrebbe neanche porsi.

Roberto Speranza

Roberto Speranza

La geografia politica della Giunta è la seguente: 8 membri Pd, 6 Pdl, 4 M5S, un componente a testa per Sel, Scelta civica, Autonomia, Lega Nord e «Grandi Autonomie e Libertà». I numeri per votare l’ineleggibilità di Berlusconi, in teoria, ci sarebbero, basterebbe che Pd e M5S si esprimessero in tal senso: difficile però che accada, a giudicare dalle dichiarazioni di Roberto Speranza, capogruppo Pd a Montecitorio; è facile del resto immaginare che un’eventuale decisione della Giunta contraria a Berlusconi avrebbe come conseguenza quasi immediata la caduta del governo.

Volendo esercitare un rispetto formale delle regole, è probabile che non ci siano gli estremi per l’ineleggibilità, soprattutto dal lato soggettivo: Silvio Berlusconi, dunque, non risulterebbe vincolato a un’autorizzazione in nome proprio o come legale rappresentante. A chi volesse far notare, senza troppa fatica, che le norme in vigore hanno l’effetto assurdo (e un po’ ipocrita) di non consentire la candidatura di Confalonieri, ma di permettere quella di Berlusconi padre, nonostante la presenza di ben due figli (Pier Silvio e Marina) nel cda di Mediaset, sarebbe difficile replicare. A meno di voler dire: è la legge, bellezza, e tu non puoi farci niente. Se non hai i numeri e la voglia per cambiarla.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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