Quell’emendamento che avrebbe cancellato Mani Pulite

Pubblicato il 27 Luglio 2013 alle 12:57 Autore: Gabriele Maestri
depistaggio

Sottolinea Liana Milella su Repubblica che «Mai, in vent’anni di norme per demolire il codice penale, si era osato tanto».

Probabilmente è vero: fosse entrata in vigore una norma simile trent’anni fa, tutte le inchieste e i processi del filone Mani Pulite sarebbero finite nel nulla.

Ma, volendo, anche la vicenda giudiziaria che vede ancora imputato Filippo Penati, oppure le inchieste che hanno finito per coinvolgere nomi ben noti in casa Pdl come Claudio Scajola e Marco Milanese.

L’idea che certe condotte siano punite solo con una sanzione amministrativa (anche se pesante), dando ovviamente l’idea che siano meno gravi di quelle punite da norme penali, è un pessimo risultato, per un provvedimento che nel titolo si propone anche di raggiungere «la trasparenza dei partiti».

Ora la magistratura, attraverso l’Anm, si premura di dire che la nuova norma avrebbe un potere repressivo e preventivo nettamente inferiore e ricorda, per l’appunto, che con quelle condizioni Mani Pulite non ci sarebbe mai stata (e questo, a qualcuno, avrebbe fatto piacere).

gelmini scajola

Tra le reazioni tra lo stupito (magari per non aver letto a dovere il testo) e l’indignato, fa da contraltare quella di Maria Stella Gelmini che dichiara la disponibilità a riformulare il testo, ma non a ritirarlo: «L’emendamento è stato interpretato in maniera non corretta – ha spiegato a Giulia Santerini di Repubblica – contempla il caso in cui una società ha iscritto a bilancio il contributo a un partito, quindi non è un comportamento doloso, ma incorre nella dimenticanza di non far deliberare su questo il consiglio di amministrazione, magari perché il commercialista non l’ha segnalato».

Peccato che la lingua italiana non sia un’opinione: l’emendamento, per come è scritto, si riferisce anche a tutte le dazioni di denaro provenienti da amministrazioni, enti pubblici e società partecipate. Lo capirebbe chiunque abbia il dono della lettura, anche senza stato ministro dell’istruzione come la Gelmini.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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