Sudan, proteste nella capitale contro la secolarizzazione in atto nel paese

Pubblicato il 15 Settembre 2020 alle 19:26 Autore: Daniele Atzori

Dal 21 agosto 2019 il Sudan ha un nuovo governo di transizione al cui vertice si trova l’economista Abdalla Hamdok. Gli obbiettivi che intende portare avanti sono la pacificazione nazionale, la risoluzione della crisi economica che attraversa il paese e l’approvazione di norme ed emendamenti laici che garantiscano varie libertà personali anche per i non musulmani e le donne.

Il 9 luglio 2020 sono quindi stati approvati degli emendamenti che:

  • Criminalizzano la circoncisione femminile;
  • Aboliscono il divieto di apostasia (letteralmente rifiuto totale del proprio credo religioso);
  • Lasciano la libertà ai non musulmani di consumare alcol;
  • Concedono libertà alle donne di portare fuori dal paese i figli senza il permesso del marito.

Come era normale aspettarsi, in un paese che per 30 anni ha avuto la Shari’a come legge di stato, tale volontà di laicizzare le istituzioni ha provocato le accese proteste dei gruppi islamici più intransigenti che ritengono le tradizioni religiose in pericolo.

Le critiche provengono però anche da diverse organizzazioni internazionali per i diritti umani che al contrario ritengono troppo morbide e blande queste norme affermando che ci vuole qualcosa di più deciso per sradicare usanze e tradizioni in uso purtroppo da molto tempo.

Si pensa inoltre che l’approvazione di tali norme possa contribuire anche a cambiare la reputazione del paese a livello internazionale. Il paese infatti è pesantemente sanzionato dagli USA a causa dei legami con il terrorismo organizzato di matrice islamica (in particolare con Al Qaida). Diventa poi più probabile che il Fondo Monetario stanzi maggiori fondi in aiuto del settore economico che attualmente si trova in una crisi peggiorata inoltre dalla pandemia di coronavirus che interessa tutto il mondo.

Infatti, le manifestazioni non sono causate solo da queste norme “influenti sui valori fondamentali islamici” ma anche dalla gravissima disoccupazione che affligge il paese stremato dalla guerra civile in Darfur e dalla gestione finanziaria del precedente dittatore Omar al-Bashir al potere per 30 anni dal 1989 al 2019.