IPCC, modelli da rifare?

Pubblicato il 29 Agosto 2013 alle 21:42 Autore: Matteo Patané

In generale, quindi, i modelli predittivi utilizzati come base per l’AR5 hanno fornito, in un periodo di otto anni, un errore di rilevazione stimabile tra il quinto ed il quarto di grado centigrado, una cifra enorme sia se la si pensa proiettata su periodi temporali più lunghi, sia soprattutto se si pensa a quali sconvolgimenti climatici una semplice frazione di grado può portare.

Ciò non significa naturalmente che il riscaldamento globale sia una bufala: le temperature, pur stazionarie a livello generale negli ultimi anni, permangono comunque sui livelli più alti mai registrati – e se le serie satellitari si spingono solo fino alla fine degli anni ’70, molti dataset terrestri riferiti a diverse località hanno ormai valenza secolare. Inoltre in molte zone anche del nostro Paese non occorre un ulteriore riscaldamento per compromettere ecosistemi e pratiche agricole già seriamente alle strette dai cambiamenti finora avvenuti.

Differenza tra le previsioni IPCC
e la media delle registrazioni di anomalia di temperatura
(2005-2013)

Né deve necessariamente pensarsi ridimensionata la componente antropica nell’andamento delle temperature globali, in quanto non è chiaro quale sarebbe potuto essere tale andamento se non fosse mai avvenuta, ad esempio, la rivoluzione industriale.

Con ogni probabilità gli errori modellistici derivano da una sottostima dell’impatto del Sole nella determinazione delle temperature del pianeta e da distribuzioni di probabilità troppo grossolane per un sistema così caotico come è il pianeta Terra.

Comunque sia, lo scopo dei report IPCC non è – o non dovrebbe essere – assegnare responsabilità, né si dovrebbe limitare a fornire puri prospetti teorici, il cui errore significherebbe solamente la necessità di sostituire un modello con un altro.

I panel IPCC si propongono piuttosto di fornire una piattaforma di dati e ricerche tale da costituire la base di qualsiasi azione politica, nazionale o globale, volta a contrastare o quantomeno mitigare gli effetti negativi del cambiamento climatico.

Sotto questo aspetto, l’idea di report non corretti, o fondati su premesse palesemente smentite dai dati reali, è deleteria tanto per la credibilità dell’IPCC quanto soprattutto perché attraverso questo report i Paesi possono arrivare a decidere le loro politiche ambientali ed energetiche.

Nel raffronto con i dati reali e osservati le scelte di campo tra sostenitori dell’AGW e relativi detrattori che le incertezze della scienza climatologica ancora consentono dovrebbero passare in secondo piano, fermarsi all’evidenza dei numeri registrati e al fatto che i modelli su cui si fonderanno le politiche ambientali del prossimo lustro si sono dimostrati errati e prendere atto che su queste premesse gli Stati spenderanno soldi, decideranno di assegnare incentivi, convertiranno produzioni agricole o industriali, imposteranno politiche idriche.

La scienza, una scienza seria, rigorosa e obiettiva, deve essere al servizio della politica, e la politica ha l’esplicito dovere di seguirne le indicazioni, semplicemente perché non farlo significa produrre inefficienze. È tuttavia necessario che a sua volta la scienza sia sgombra da interessi di parte, quali che siano, e si limiti a fare il suo mestiere: descrivere la realtà.

L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
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