Amato, i volti di un participio (non) passato

Pubblicato il 13 Settembre 2013 alle 17:09 Autore: Gabriele Maestri

A giudicarlo secondo i crismi della grammatica, si dovrebbe chiamare in causa il participio passato del verbo “amare”. Eppure – ci si perdoni il gioco di parole – non si può certo dire che Giuliano Amato sia particolarmente “amato” da un consistente spettro di forze politiche attualmente in Parlamento.

Tra i primi ad aprire il fuoco dopo la nomina a giudice costituzionale di Amato, leghisti come l’eurodeputato Matteo Salvini (“Napolitano ha proprio rotto le palle – ha dichiarato oggi – ormai ha centoventi anni e dopo la nomina dei 4 senatori a vita ci mancava la vicenda di Giuliano Amato alla Corte Costituzionale. Queste nomine sono un insulto alle persone che non hanno un lavoro e che sono in difficoltà”).

Altre carinerie arrivano soprattutto dal MoVimento 5 Stelle: come la Lega, se la prende con il Capo dello Stato ancor più che con il nuovo giudice costituzionale. “Amato, il peggio della politica, l’incarnazione del male assoluto, l’uomo di fiducia dei poteri forti e della casta, collezionista di poltrone, soldi e incarichi” scrive oggi su Facebook il deputato abruzzese Gianluca Vacca, che paragona Napolitano a Vittorio Emanuele III, perché avrebbe di fatto consegnato l’italia a Berlusconi, come il re a Mussolini.

napolitano giuliano amato

Certo, c’è anche chi difende Amato, senza lesinare violenza verbale: il primato va a Giuliano Cazzola, ora in Scelta civica ma con un lungo passato nell’area socialista della Cgil. “Come si permette di insultare Amato un branco di cialtroni – dice in attacco al M5S – ignoranti di storia patria, indeboliti dalle masturbazioni via web e divenuti parlamentari per una beffa del destino? Sanno chi è e che cosa ha fatto Amato, peraltro pensionato d’oro né più né meno del loro beniamino Stefano Rodotà? Il nuovo giudice costituzionale è prima di tutto un insigne giurista, un costituzionalista sui cui libri si sono misurati decine di migliaia di studenti”.

Certamente Cazzola, a modo suo, ha centrato il nucleo del problema o, almeno, una sua parte. Da una parte c’è la competenza indiscussa e indiscutibile di Amato sul piano giuridico: ha insegnato e insegna tuttora Diritto costituzionale comparato, scrivendo vari volumi (assieme, tra l’altro, ad Augusto Barbera, docente e parlamentare in quota Pci). La vicepresidenza della Convenzione europea (per ripensare l’architettura istituzionale Ue) e altri incarichi sono legati alla stessa competenza.

Tutto questo, peraltro, non cancella altri volti di Amato. Dal prelievo forzoso dai conti correnti del 1992 alla svalutazione della lira, prima ancora la sua lunga presenza nei governi Craxi, Goria e De Mita, non sono pochi a sottolineare una certa contiguità a quella classe politica responsabile di un dissesto economico e finanziario del Paese.

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L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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