Pd: torni la prima rata Imu per rendite alte

Pubblicato il 4 Ottobre 2013 alle 16:39 Autore: Gabriele Maestri

Mentre le telecamere sono puntate sul Senato per la decisione della Giunta delle elezioni sulla vicenda Berlusconi, alla Camera spunta la proposta di far pagare la prima rata dell’Imu sulle case la cui rendita catastale superi i 750 euro, eliminando nel contempo l’esenzione per le abitazioni sfitte. La proposta è contenuta in un emendamento al decreto Imu presentato dal Pd in commissione Bilancio e permetterebbe di riportare l’Iva al 21%.

L’emendamento e’ stato firmato da tutti i membri Pd della commissione Bilancio, fatta eccezione per il responsabile economia del partito, Matteo Colaninno: “Lui però non firma mai gli emendamenti”, sottolinea il capogruppo democratico all’interno della commissione, il correggese Maino Marchi.

La modifica proposta al decreto Imu, in particolare, permetterebbe di ricavare un miliardo e 200 milioni dall’imposizione sulle case con rendita catastale superiore a 750 euro. “Quei soldi potrebbero coprire il blocco dell’Iva a novembre e dicembre, la Cig in deroga per 400 milioni e il Fondo affitti per 50”; l’esclusione degli immobili sfitti dall’esenzione Imu, invece, potrebbe finanziare la deducibilità per le imprese dell’Imu sui capannoni.

Maino Marchi Imu

Maino Marchi

A chi fa notare che il governo avrebbe intenzione di blindare il decreto proprio nella parte riguardante la prima rata Imu, Marchi risponde: “Noi abbiamo presentato gli emendamenti per sollevare delle questioni; possiamo anche ritirarli o trasformarli in ordini del giorno, ma comunque chiediamo che si ragioni e che non si blindi il testo”.

Dal Pd, dunque, arriva la richiesta al governo di un’azione tangibile a favore di alcune categorie: ”Chiediamo al governo un impegno sulla deducibilità dell’Imu per le imprese, nonché garanzie per i redditi bassi, il lavoro e gli affitti“. Il fatto che il Tesoro abbia già pagato, ieri, ai comuni le compensazioni per il mancato incasso dell’Imu non creerebbe problemi: “‘i nostri emendamenti prevedono che a incassare sia lo Stato e non i Comuni, quindi tecnicamente stanno in piedi; la discussione e’ politica”.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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