E’ questione di (fanta)politica – Cosa sarebbe successo se…avesse vinto Dukakis?

Pubblicato il 28 Ottobre 2011 alle 12:50 Autore: Livio Ricciardelli
(fanta)politica

Boston, Massachusetts. “Non voglio sentire una parola! Chi parla qua dentro viene subito cacciato fuori…” così tuonava un grasso uomo con un tesserino del partito dell’asinello sulla giacca in quella che i media avevano già definito la “war room” democratica. Mentre la folla già esultava presso il comitato Dukakis per i dati sempre piu positivi, il candidato si trovava con i proprio affetti familiari presso quella segreta stanza. Si toccava il ciuffo perennemente, e guardava senza proferire parola la televisione. Il suo volto non pareva subire variazioni come se, in quel preciso istante, fosse assolutamente isolato dal mondo circostante. Una caratteristica che avrebbe fatto preoccupare chiunque abbia seguito almeno una lezione di medicina presso qualsiasi ateneo statale. Continuava imperterrito a seguire i risultati, mentre chi lo circondava sapeva, forse, che si stava delineando un miracolo.

Huston, Texas. Il silenzio più totale. All’ingresso del vicepresidente presso la sala dove lo attendeva il popolo repubblicano, dopo un primo applauso a lui ed ai suoi familiari venuti sul palco, un silenzio di tomba attanagliava la sala. Il vicepresidente Bush sapeva che in quel momento la situazione era anomala. Un silenzio del genere è alquanto raro, figurarsi in una sala con centinaia di persone. Non apparivano tra la folla bandierine americane o cartelli “Bush-Quayle”. Solo qualche cappello da cowboy rendeva meno funerea la vista. Decise di velocizzare la cosa, di eliminare la sofferenza: prese subito la parola: “Cari amici, mi spiace dirvelo. Ma abbiamo perso le elezioni. E’ stato comunque un splendido viaggio insieme a voi. Dobbiamo però fare gli auguri al nostro nuovo presidente”. I fischi che arrivarono portarono la situazione dal male al peggio.

Boston, Massachusetts “Du-ka.kis! Du-ka.kis!” Mille di persone in festa salutavano il loro candidato: Michael Dukakis, 41° presidente degli Stati Uniti d’America. Era stata senza dubbio l’elezione più incredibile della storia, la più insperata e imprevedibile. Dukakis era salito sul palco con la famiglia e i suoi collaboratori da 7 minuti ma, pur volendo, non era riuscito a proferire parola per il troppo baccano del festeggiamento. Signore in lacrime che no, proprio non ne potevano più di Reagan e della sua politica, ora avevano davanti al loro l’anti-divo per eccellenza. Perché il sogno americano non consisteva solo nell’eleggere un ex attore presidente, ma anche un “meticcio” dalle origine greche. Questo testimoniava che l’America era davvero un grande paese, il paese del sogno. “Care amiche e cari amici…abbiamo vinto!” tuonò alzando il pugno chiuso (destro) mentre la folla fu galvanizzata ancor di più da tale frase. “E’ una grande soddisfazione per me e per voi…una gioia immensa, cambieremo l’America, un paese dove tutto è possibile, ed io sono anche il rappresentante della vostra storia, della storia di tutti noi. Voi stasera avete vinto e avete cambiato in positivo questa storia!”. Anche questa frase fu accolta con un’ovazione di circa 4 minuti. Era stato abile a pronunciare la sua ultima frase, era bravo allora a parlare a braccio! Se avesse avuto questa consapevolezza anche in campagna elettorale!

(per continuare la lettura cliccare su “3”)

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
Tutti gli articoli di Livio Ricciardelli →