Sgonfiata la bomba Berlusconi, a far paura resta lo shutdown USA

Pubblicato il 7 Ottobre 2013 alle 11:32 Autore: Giovanni De Mizio

(07/10/2013) Shutdown Usa. Settimana in altalena per i mercati finanziari.

Scampato il pericolo della caduta del governo italiano guidato da Enrico Letta, resta la preoccupazione sullo stallo negli Stati Uniti circa le trattative sul budget federale e soprattutto sul tetto al debito pubblico, che verrà toccato il 17 ottobre.

Da ormai una settimana democratici e repubblicani continuano il muro contro muro sulla legge finanziaria federale, mentre è scattato il cosiddetto governament shutdown, ovvero il blocco dei servizi pubblici non essenziali. Centinaia di migliaia di lavoratori sono stati posti in congedo non pagato, mentre a molti altri è stato chiesto di continuare a lavorare senza stipendio. Chiuse molte strutture statali, specie turistiche, con un impatto certamente negativo per l’economia statunitense.

Fra pochi giorni inoltre verrà toccato il limite massimo cui il Congresso ha permesso al governo di indebitarsi: in passato l’innalzamento del tetto al debito era una semplice routine, ma con l’arrivo degli estremisti delle Tea Party specie alla Camera dei Rappresentanti, dove i repubblicani hanno la maggioranza, anche questa “semplice” trattativa è diventata occasione di scontro pur di azzoppare Obama, obiettivo cui i Tea Party sembrano essere disposti a sacrificare la già modesta ripresa USA.

Il pomo della discordia è la riforma sanitaria, che entro la fine dell’anno entrerà definitivamente in vigore: il cosiddetto Obamacare è stato approvato nel 2010, è stato giudicato in gran parte costituzionale dalla Corte Suprema ed è in attesa di essere definitivamente implementato (un altro pezzo, il “mercato” delle assicurazioni, è entrato in vigore il primo di ottobre). Gli estremisti del Tea Party stanno tentando in ogni modo di bloccare i finanziamenti a quella che è giudicata come la riforma più importante finora varata da Obama, e sono disposti anche a far inceppare la macchina statale, far ripiombare di paese in recessione e, se non verrà innalzato il tetto al debito, anche causare un default tecnico, che rischia di provocare non solo danni nel breve periodo, ma soprattutto un calo permanente nella fiducia negli Stati Uniti, attualmente giudicati come i più sicuri al mondo.

Obama e i democratici sono fermi sul punto, poiché si tratta di finanziare una riforma approvata dal Congresso e dalla Corte Suprema, né i repubblicani sono disposti a cedere. Ci si chiede quanto possono resistere ancora: i sondaggi mostrano che se si votasse oggi il Grand Old Party perderebbe la maggioranza al Congresso, poiché gli elettori li ritengono responsabili in maggioranza della blocco governativo. Il prossimo rinnovo della Camera bassa del Congresso avverrà nel novembre 2014.

Passiamo all’agenda macroeconomica, questa settimana piuttosto povera quanto a dati che possono smuovere fortemente il mercato. Mercoledì verranno pubblicate le minute della Bank of Japan e soprattutto della Federal Reserve statunitense, da cui si potranno trarre indicazioni circa le posizioni dei membri del FOMC a proposito del quantitative easing che potrebbe essere avviato nella caotica settimana che concluderà il mese di ottobre.

Giovedì sarà una giornata particolarmente ricca per l’Italia che renderà nota la propria produzione industriale: gli analisti si attendono un aumento dello 0,7 per cento su base mensile e un calo per 4,3 per cento su base annua. Andranno inoltre in asta BOT italiani a 3 e 12 mesi. Dagli Stati Uniti, shutdown permettendo, dovrebbero arrivare le nuove richieste di sussidi di disoccupazione, attese sostanzialmente stabili poco sopra le 300 mila unità.

Venerdì sarà la volta dell’indice dei prezzi al consumo tedesco, che su base annua mostreranno che il target, fissato poco sotto il 2 per cento, è lontano: l’inflazione, ferma su base mensile, dovrebbe essere aumentata dell’1,4 per cento su base annua. Andranno in asta BTP italiani a 3 anni, mentre dagli Stati Uniti dovrebbe arrivare la stima preliminare dell’indice che misura la fiducia delle famiglie degli Stati Uniti elaborato dall’università del Michigan: il calo dovrebbe essere confermato ben sotto gli 80 punti.