Tagliare i costi della politica in 90 parole

Pubblicato il 5 Novembre 2013 alle 18:42 Autore: Andrea Enrici

Una notizia di questi giorni merita qualche constatazione: “18mila euro in cene per ogni consigliere del PdL, 13mila per i leghisti, 9mila per i Cinque Stelle” mentre i consiglieri del “PDmenoelle” contengono la propria fame a 6mila euro ciascuno”.

Ciò che fa il Movimento 5 Stelle non merita particolari commenti perché tra vent’anni tutti parleremo di Grillo e dei grillini come oggi facciamo di Bossi e dei leghisti (che nel 1993 sventolavano il cappio in Parlamento contro i deputati inquisiti e oggi si oppongono alla decadenza di un senatore condannato in via definitiva per evasione e frode fiscale e in primo grado per concussione e prostituzione minorile): di Grillo ha già scritto molto Eugenio Scalfari e non si potrebbe fare meglio (Se vince Grillo il Paese va a rotoli, la Repubblica, 3 novembre 2013).

Va piuttosto fatto notare che la guerra ai costi della politica ha sinora avuto come bersaglio le due voci che senz’altro attirano l’attenzione della pubblica opinione (gli stipendi dei parlamentari e  il finanziamento pubblico ai partiti), tralasciando però quello che costituisce la più indecente cassaforte dello spreco: i contributi versati dal Parlamento e, soprattutto, dai consigli regionali ai gruppi politici in essi rappresentati (inchiesta su la Repubblica, 16 ottobre 2013).

grillo

La democrazia, da Atene in poi, ha i suoi costi ed è giusto affinché non siano solo i miliardari a dedicarsi alla Res Publica. Questi costi, però, devono essere proporzionati alle effettive necessità e non possono coprire né i diplomi di Renzo Bossi, né le auto di Fiorito né i pasti dei consiglieri regionali emiliani. La soluzione sostenibile potrebbe essere abbastanza semplice e sta in 90 parole:

– indennità complessiva e non cumulabile con altri emolumenti di € 250.000 lordi all’anno per ciascun parlamentare e di € 100,000 lordi all’anno per ciascun consigliere regionale, assessore e presidente di Giunta Regionale (inclusi i carissimi “deputati” dell’Assemblea Regionale Siciliana);

– abolizione di qualsiasi ulteriore indennità di carica, emolumento e benefit;

– applicazione del sistema di finanziamento “misto” proposto dal Governo e in discussione in Parlamento;

– abolizione di qualsiasi altra forma di finanziamento (diretto e indiretto) ai gruppi politici in Parlamento, nei consigli regionali e nelle altre assemblee locali.

Il Partito Democratico non ha ancora trovato se stesso e difficilmente troverà il coraggio di avanzare una simile proposta. Per le altre forze politiche, dal Movimento 5 Stelle a Forza Italia/PdL, invece, è molto più comodo propagandare soluzioni radicali nella più sfacciata consapevolezza che, per ragioni strutturali, queste non potranno essere implementate: così continueranno ad accusare “gli altri”, continueranno a mietere consensi e, soprattutto, come suggerisce l’inchiesta della Procura di Bologna, potranno continuare a mangiare più degli altri. Perlomeno fino a quando gli elettori continueranno a credere alle vuote parole urlate in piazza o in TV.

Post Scriptum: ovviamente, perché il taglio dei costi sia accompagnato all’efficienza, il Parlamento potrebbe osare di più, approvando il passaggio ad un sistema parlamentare monocamerale e una completa razionalizzazione dei consigli regionali per far sì che il numero complessivo dei consiglieri non superi le 500 unità.

L'autore: Andrea Enrici

Classe 1987, lombardo di nascita e milanese per scelta, ha una maturità classica e una laurea a pieni voti in giurisprudenza, presa tra Pavia, Glasgow e San Francisco. È stato consulente legale per l'ONU, ora è impiegato nella Pubblica Amministrazione. Ha iniziato a interessarsi di politica, per gioco, nei primi Anni Novanta, con le vignette di Forattini: presto ha smesso di seguire Forattini ma con la politica non ce l'ha fatta. Viaggia, legge, va a teatro e tifa Inter
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