Isee 2026: brutte notizie per chi è in affitto, salvi solo i proprietari. Cosa cambia (in peggio)

Pubblicato il 18 Novembre 2025 alle 11:00 Autore: Ilaria Losapio
Isee 2026: brutte notizie per chi è in affitto, salvi solo i proprietari
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L’UPB ha espresso il sospetto che queste scelte riflettano una precisa politica di contenimento della spesa pubblica, stimata attorno ai 500 milioni di euro.

Con l’avvento del 2026, il panorama relativo al calcolo dell’Indicatore della Situazione Economica Equivalente (ISEE) subirà modifiche significative che, tuttavia, rischiano di accentuare le disparità tra chi possiede una casa e chi vive in affitto.

Le novità introdotte dalla Legge di Bilancio 2026 hanno sollevato preoccupazioni a livello istituzionale per l’impatto sociale che potrebbero avere soprattutto sulle famiglie più vulnerabili.

Nuove soglie di esenzione per la prima casa e penalizzazioni per gli inquilini

Dal 1° gennaio 2026, la franchigia per il valore della prima abitazione di proprietà aumenterà da 52.500 a 91.500 euro, con un incremento di 2.500 euro per ogni figlio oltre il primo presente nel nucleo familiare. Questa modifica rappresenta un alleggerimento nel calcolo dell’ISEE, favorendo di fatto chi detiene un immobile di proprietà. Tale meccanismo incide positivamente sul diritto a prestazioni sociali fondamentali, quali l’assegno unico, il bonus asilo nido e altri sostegni al reddito e alla formazione.

Al contrario, chi versa un canone di locazione subirà una penalizzazione, poiché la deduzione massima dal reddito per gli affitti resterà ferma a 7.000 euro, con un lieve incremento di 500 euro per ogni figlio oltre il secondo. Questa disparità crea un trattamento diseguale tra due categorie di cittadini, con un evidente svantaggio per chi vive in affitto, spesso già in condizioni economiche più fragili.

Critiche istituzionali e divisone tra proprietari e affittuari

Le modifiche sono state oggetto di duri rilievi durante le audizioni parlamentari del 6 novembre 2025. L’Ufficio Parlamentare di Bilancio (UPB) ha definito la nuova normativa come un «trattamento di favore ingiustificato» che altera uno dei principi fondamentali dell’ISEE: la valorizzazione equivalente del costo dell’abitare, indipendentemente dalla forma di godimento dell’immobile.

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Analogamente, la Banca d’Italia ha evidenziato come l’aumento della franchigia riduca artificialmente il peso economico del possesso immobiliare rispetto a chi paga un affitto mensile, aggravando così le disuguaglianze sociali. La Corte dei Conti ha sottolineato inoltre che interventi di questo tipo, se non calibrati con attenzione, possono compromettere la funzione stessa dell’ISEE come strumento oggettivo di valutazione delle condizioni economiche delle famiglie.

La realtà abitativa e l’aggravarsi delle disparità

Secondo i dati ISTAT aggiornati al 2024 e citati dall’UPB, il 18% delle famiglie italiane vive in affitto, mentre il 73,5% è proprietario della casa in cui dimora. La povertà assoluta colpisce in maniera più marcata chi è in affitto: il 22,1% contro il 4,7% dei proprietari. Le famiglie in povertà assoluta che pagano un canone versano mediamente circa 373 euro al mese, un peso economico significativo che cresce ulteriormente se si considerano i recenti incrementi degli affitti.

L’inflazione immobiliare accentua ulteriormente questo squilibrio. Tra il 2015 e il 2024, gli affitti sono aumentati del 24,2%, mentre le rendite catastali – usate per valorizzare le proprietà nel calcolo ISEE – sono cresciute solo del 3,8%. Questo divario significa che il costo reale dell’abitare in affitto è aumentato molto più rapidamente rispetto al valore attribuito agli immobili di proprietà, rendendo la nuova normativa ancora più penalizzante per gli inquilini.

Tuttavia, tale risparmio non giustifica una riforma che rischia di accentuare le disuguaglianze economiche tra famiglie italiane, colpendo soprattutto chi si trova in condizioni di maggior fragilità.