Un piccolo esercizio di politica

Pubblicato il 29 Giugno 2010 alle 12:26 Autore: Livio Ricciardelli
Un piccolo esercizio di politica

Ogni anno è sempre la stessa storia: scorgendo difficoltà all’interno della compagine di governo (questo volta il tema caldo è il ddl intercettazioni già abbastanza snaturato per quella che era l’ottica berlusconiana) arriva qualche compiacente opinionista politico pronto ad elaborare complesse tesi su probabili scosse nel governo e su futuribili ed immaginabili governi tecnici.

Per carità, si tratta di un esercizio rispettabile che tiene conto delle reali forze in campo. A tratti appare anche come un esercizio di “normalità” come se nella politica, in questa triste politica nostrana, esistessero ancora ideali capaci di farci pronunciare in qualche opulenta stanza di Palazzo Grazioli “a queste condizioni non ci stò!”.

Ma al tempo stesso l’esercizio, per quanto divertente e rispettabile, appare anche come poco realista e di difficile attuazione.

L’ultimo tentativo di elaborare una tesi in proposito, se escludiamo i consueti retroscena giornalistici che ci beano ogni mattina sulla carta stampata, è stato l’ex direttore de “La Stampa” Marcello Sorgi intervistato sul canale SkyTg24 da Maria Latella.

L’intervista è stata molto interessante ed ha trattato i temi principali dell’agenda politica: dal ddl intercettazioni, appunto, al caso Brancher, passando per la manovra finanziaria e ai malumori dei presidenti di Regione fino ad arrivare al tanto vituperato Lodo Alfano costituzionale (vero prossimo obbiettivo in materia di giustizia del Cavaliere).

L’intervista è filata liscia fino a quando non è si è giunti alla fatidica domanda: ma questo governo durerà? Quando si tornerà a votare?

A questo punto però occorre una premessa: è giusto ricordare come nella propaganda berlusconiana il Cavaliere appaia sempre come “l’uomo nuovo” lontano dai palazzi della politica e dai giochi delle segreterie di partito.

Ora, se è innegabile che a Berlusconi la passione politica è arrivata alla rispettabile età dei 57 anni, è anche vero che oramai è da qualche anno sulla scena e a quanto pare egli stesso, e i suoi sodali, si son fatti un po’ “Casta”. E appunto perché il tempo passa possiamo scorgere come questa erronea visione dei fatti (Berlusconi uomo nuovo, Berlusconi anti-politico) ci riconduca anche alla negazione e alla cancellazione del periodo in cui lo stesso Berlusconi ha governato il paese: nella breve parentesi del 1994 e dal 2001 al 2006. Periodo in cui non si è registrata alcuna riforma strutturale del paese (gli alfieri della lotta contro l’oppressione fiscale come hanno preso i dati Istat della giornata di lunedì?).

Tra tutte questo cose ci si scorda che Berlusconi non si dimette manco se si perdono 12 regioni su 14. E non ci si dimette manco se gli si dimettono in contemporanea 20 ministri su 22 (ma forse la vera impresa è capire le reali deleghe di questi presunti ministri!).

Ecco perché le discussioni su probabili ribaltoni e su futuribili governi tecnici sono il più delle volte poco realisti.

Sorgi in ogni caso, sempre nell’intervista a Sky, sottolineava come un punto d’attrito notevole sia il tema del federalismo, a causa della golden share della Lega Nord, e come su questa tema potrebbe costituirsi un esecutivo tecnico sostenuto da Lega, finiani del Pdl e forse tutta l’opposizione.

In questo caso però, continuava Sorgi, Berlusconi sarebbe a tratti avvantaggiato rispetto ad un ritorno alla urne ad autunno o nella primavera del 2011: infatti potrebbe dipingersi come “l’uomo esautorato”. Ennesima vittima dei giochi di potere della stanza dei bottoni.

A questo punto mi sono chiesto fra me e me se, oltre ad aiutare Berlusconi, questa storiaccia del governo tecnico potrebbe effettivamente danneggiare il centrosinistra e il Pd.

Appunto per questo ho deciso di fare un piccolo esercizio: pur avendo un età anagrafica non molto elevata mi considero persona che oramai a qualche dimestichezza con alcune dinamiche politiche. Quindi sono arrivato alla conclusione che, in Italia, dopo cinque anni di governo la forza favorite alle elezioni non è il governo, bensì l’opposizione.

A mio parere la cosa è dovuta in primis ad un’eccessiva macchinosità della macchina legislativa italiana: il bicameralismo perfetto non porta a decisioni molto rapide e ciò a tratti logora l’immagine dell’esecutivo. A vantaggio dell’opposizione (che in ogni caso deve sforzarsi il massimo per apparire alternativa credibile).

Ci sono eccezioni a questo caso (basti pensare allo striminzito margine per Prodi alle politiche del 2006, anche se lì la faccenda è forse molto complessa) ma i dati elettorali, dal 1994 ad oggi, sembrano rafforzare questa mia tesi.

A questo punto mi chiedo, per quanto vano possa essere il mio sforzo: se il Pd entra in un governo tecnico senza Berlusconi, chi è avvantaggiato nelle prossime politiche?

Secondo me il Cavaliere.

Ma, c’è un “ma”. Se guardiamo sempre ai precedenti, dal 1994 ad oggi, possiamo appoggiarci sull’esperienza tecnica del governo Dini: anche in quel caso Berlusconi fu estromesso, in quanto incapace di reggere la sua maggioranza, dal governo e si arrivò ad un governo tecnico.

Nonostante tutto il centrosinistra, e non Berlusconi, nel 1996 vinse le elezioni.

Il Carroccio non correva col Polo allora, ma probabilmente la reale motivazione del non-logoramento dell’Ulivo del ’96 è un’altra: il centrosinistra pur sostenendo l’esecutivo tecnico di Dini non ne fece parte.

E alle elezioni l’anno dopo quindi non apparve come forza di governo. Ma di cambiamento per il paese.

Quindi, se mai accadrà, un consiglio al Pd: sia dialoghi con Fini su certi temi, se lo si ritiene giusto, si dialoghi sul federalismo. Ma sul governo tecnico non ci si azzardi a proporre nemmeno un nome per il più sfigato del ministeri!

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L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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