INTERVISTA Toninelli-M5S: “Renziani di ferro, Firenze loro feudo con i collegi dell’Italicum”

Pubblicato il 29 Luglio 2015 alle 17:41 Autore: Gabriele Maestri
Danilo Toninelli m5s collegi dell'italicum

Scade tra due giorni il termine in cui le commissioni competenti di Camera e Senato dovranno dare un parere sullo schema di decreto legislativo con cui il Governo definirà i collegi dell’Italicum. Già alla fine della settimana scorsa, però, il M5S ha attaccato l’esecutivo, accusandolo di avere modificato il disegno di alcuni collegi per alterare il risultato elettorale. Ora Danilo Toninelli, il deputato stellato da sempre più attento alle questioni elettorali, rincara la dose: “Renzi ha creato due vere ‘roccheforti’ fiorentine, per portare in Parlamento vari esponenti di quella terra, gli unici con cui è in confidenza”.

toninelli collegi dell'italicum

Cittadino Toninelli, lei giorni fa ha parlato di modifiche dei collegi elettorali da parte del Governo dovute a “calcoli politici”. A distanza di un po’ di tempo, conferma?

Confermo, anche dopo aver iniziato la lettura della relazione della commissione tecnica al Governo. Lei sa che disegnare un collegio un po’ più grande o un po’ più piccolo può avvantaggiare in parte qualcuno e svantaggiare in parte qualcun altro…

Si riferisce alla cosiddetta (mala)pratica del gerrymandering, con il disegno (e la modifica) dei collegi “ad arte”, per tentare di influenzare il risultato elettorale?

Diciamo che è quella, senza salti particolari ma è quella. Un caso è particolarmente eclatante e, anche se non è facile da “comunicare”, per la difficoltà della materia e per il periodo estivo, su questo punto ci faremo sentire.

Nelle prime dichiarazioni si era concentrato soprattutto sul “caso Firenze”: parla di questo?

Esattamente. Vede, la commissione guidata dal presidente Istat Giorgio Alleva aveva individuato un collegio a Firenze, che comprendeva la città e la più parte della provincia, e un secondo collegio ad Arezzo, che oltre alla provincia aretina comprendeva anche circa due quinti della provincia di Firenze (in particolare, la quasi totalità dei vecchi collegi uninominali di Bagno a Ripoli e Pontassieve, ndr): questo era ovvio perché, in base alla sua popolazione, la provincia di Arezzo in sé non avrebbe potuto costituire un collegio autonomo. Il Governo, invece, ha smembrato il secondo collegio: in pratica, è stato ridotto il collegio Toscana 3, comprendente Firenze e alcuni altri comuni, nel collegio Toscana 4 si è unita la maggior parte della provincia di Firenze (compreso il collegio di Pontassieve, ndr) a una parte della provincia di Arezzo, mentre il resto della provincia di Arezzo forma il collegio Toscana 6 insieme alle province di Siena e Grosseto.

Secondo voi cosa comporta questo?

Politicamente ha un peso assolutamente rilevante. Nella provincia di Firenze, in base alle ultime elezioni del 2013 e anche a successivi sondaggi, il Pd ha preso davvero molti voti in più rispetto alla provincia di Arezzo. Smembrando la provincia di Arezzo in quel modo, tra due collegi, e concentrando di conseguenza i voti, si potrebbe tranquillamente sostenere che il Presidente del Consiglio si è creato due feudi fiorentini, in cui – a nostro parere – da una parte potrebbe mostrare che, nell’area in cui lui è stato amministratore, il suo partito riceve un consenso altissimo, magari il più alto di tutta l’Italia; dall’altra, potrebbe cercare di ottenere il maggior numero di rappresentanti dell’area di Firenze, del resto i sodali fiorentini che Renzi si è portato a Roma sono gli unici con cui lui parli direttamente e confidenzialmente. Con queste due “roccheforti” potrebbe ampliare ulteriormente quel numero di persone.

Viene alterata la rappresentanza territoriale, secondo lei?

Nel disegno fatto dalla commissione tecnica, c’era una rappresentanza corretta: i candidati di Arezzo e provincia erano proposti in un collegio in cui la popolazione aretina era maggioritaria, dunque sarebbero stati sufficientemente rappresentativi di quel territorio. Smembrando il territorio della provincia di Arezzo, visto che tanto nel collegio Toscana 4 quanto nel Toscana 6 gli aretini che voteranno saranno meno rispetto agli elettori di altre province, rischieranno di perdere del tutto la loro rappresentanza. Morale, i fiorentini andranno in massa in Parlamento, mentre gli aretini non ci andranno: a questo punto, è molto più che un opinione dire che questa modifica è stata fatta apposta per portare alla Camera il maggior numero di fiorentini, con cui poi Renzi potrà condividere le varie scelte.

Tutto questo emergerebbe dalla relazione presentata dalla “commissione Alleva” al Governo, la stessa che la settimana scorsa lamentavate di non avere ancora ricevuto… 

Proprio quella. Pensi che quel documento lo abbiamo chiesto praticamente da tre settimane, da quando c’è stata la prima audizione del presidente dell’Istat in Senato, ma il file – tra l’altro con le pagine ribaltate – ci è stato inviato solo lunedì sera, tra le 20 e le 20.30, 72 ore prima del termine previsto per dare il parere, che scade dopodomani… Anche se non abbiamo ancora concluso l’analisi di tutte le circoscrizioni previste, per noi è evidente che c’era qualcosa da nascondere, e il “caso” di Firenze è il più grave, sembra voluta evidentemente dal Presidente del Consiglio.

Nelle sue dichiarazioni aveva fatto riferimento anche a un caso relativo al Veneto, giusto?

L’anomalia in effetti c’è, anche se è meno grave. In pratica, il Governo ha modificato i collegi disegnati dalla commissione, spostando il comune di Montebelluna dal collegio Veneto 1 al Veneto 3, includendo invece nel primo il vecchio collegio uninominale di Conegliano, disegnato nel 1993 con l’entrata in vigore del Mattarellum e più popoloso. Di fatto il collegio Veneto 1 ingloba in sé il comune di Conegliano, in cui il Pd ha fatto registrare uno dei migliori risultati in regione in termini di voti: anche qui, di fatto, sembra essersi creata una piccola roccaforte di voti, tra l’altro smembrando il vecchio collegio uninominale di Montebelluna, diviso ora tra Veneto 1 e Veneto 3, quando tra i criteri che la commissione “di norma” doveva seguire c’era di fatto il rispetto dei collegi uninominali delineati nel 1993. Si tratta di una forzatura enorme, rispetto alla linearità delle decisioni della commissione tecnica, ma è un caso meno grave perché qui non c’è di mezzo il Presidente del Consiglio.

scalfarotto collegi dell'italicum

Sulle sue dichiarazioni, il sottosegretario Scalfarotto parlò di “modifiche assolutamente tecniche”, adottate “seguendo criteri di continuità territoriale”, escludendo che lo spostamento di comuni potesse “cambiare le sorti elettorali”. Che ne pensa?  

Sì, e su Firenze disse che il Governo aveva voluto rispettare e valorizzare la città metropolitana. Ma di che parliamo? Questo criterio non sta scritto da nessuna parte, la legge prevede una serie di parametri come l’omogeneità economico-sociale e le caratteristiche socio-culturali, ma non si fa alcun riferimento a una città metropolitana che, peraltro, spiegherà i suoi effetti tra dieci o quindici anni, se mai lo farà. Si tratta dunque di un arbitrio, che va contro i criteri che la legge stessa indica per il disegno dei collegi.

Secondo voi, almeno sul piano teorico, queste “anomalie” possono produrre effetti rilevanti? Possono “spostare” gli equilibri?

Possiamo parlare, molto genericamente, di decine di migliaia di voti. Fare due collegi fiorentini in cui il partito che trae maggiore beneficio da quella conformazione può candidare come capilista persone note sposta certamente decine di migliaia di voti. Quei voti, ovviamente, influiscono sul conto finale dei seggi e può cambiare tutto, a partire dall’attribuzione del premio di maggioranza. Sulla partita del disegno dei collegi si può giocare molto, anche poche decine di migliaia di voti possono essere decisive.

salvini collegi dell'italicum

A prescindere dalla questione dei collegi, il MoVimento 5 Stelle ha analizzato gli esiti di un’elezione cui si applichi l’Italicum? L’impressione è che quel sistema non vi faccia così male…

Premetto che speriamo vivamente che, con il referendum confermativo sulla riforma costituzionale in programma l’anno prossimo, i cittadini dicano “no” e facciano contemporaneamente venire meno le condizioni per l’Italicum. Se non dovesse andare così e l’Italicum dovesse rimanere, sarebbe falso dire che quel sistema non ci dà una chance di vittoria, ma sarebbe altrettanto falso dire che ci avvantaggia. Si tratta di un sistema che vuole o vorrebbe imporre il bipartitismo; in un contesto come questo, Salvini che fa tanto il “duro e forte” finirà per entrare in un unico listone con le altre forze di centrodestra, come del resto ha già fatto in alcune regioni. Quel listone in parlamento si scioglierà come neve al sole, ma certamente l’Italicum costringerà il centrodestra a correre con un’unica lista, una situazione che per noi è difficile, ma questo è ciò che possiamo prevedere.

Il MoVimento 5 Stelle però correrebbe col suo simbolo noto, senza doverlo cambiare, mentre il centrodestra dovrà crearne uno nuovo, magari trovando una soluzione grafica per far coesistere le sue anime. Voi e il Pd non avete quel problema, sareste già pronti…

In effetti questo svantaggia coloro che hanno un senso di appartenenza forte e farebbero ben fatica a mettere una croce su un simbolo diverso da quello votato per tanti anni. Questo lo sappiamo, ma siamo anche consci del fatto che, se Renzi ha preso il 41% alle europee dopo essersi alleato con Berlusconi, probabilmente gli italiani che vanno a votare – e sono pochi – hanno raggiunto un livello di “assuefazione” molto elevato. La situazione, probabilmente, sarebbe ben diversa pensando a quel 50% e più di italiani che non vanno a votare, e dobbiamo puntare proprio a queste persone, che forse non hanno ancora capito che in Parlamento c’è una forza politica diversa dalle altre, certamente onesta.

simboli collegi dell'italicum

Da ultimo, si è parlato poco di una norma dell’Italicum che chiede ai partiti di depositare al Viminale, 45 giorni prima del voto, con il simbolo anche il proprio statuto, che in base al decreto-legge n. 149/2013 dev’essere prima vagliato dalla commissione che esamina i bilanci dei partiti. Non è chiaro cosa accada se non si presenta il documento, ma il M5S è tra gli assenti illustri – oltre al Pd e a Forza Italia – dal “registro dei partiti”, perché?

Guardi, la questione è un po’ delicata. Noi, come lei sa, non depositammo lo statuto come richiedeva il “decreto Letta” perché all’epoca era solo funzionale ai finanziamenti e alle detrazioni fiscali, cosa che ovviamente non ci interessava; la commissione che citava lei, tuttavia, praticamente non è stata nelle condizioni di lavorare per inadeguatezza delle risorse assegnate. Oggi, da una parte, è in corso un tentativo di sbloccare i finanziamenti ai partiti – grazie al d.d.l. Boccadutri e a un emendamento presentato giusto oggi, che vorrebbe rimandare i controlli della commissione sui rendiconti al 2015, di fatto sbloccando le provvidenze relative agli anni 2013 e 2014; dall’altra, l’idea che il deposito e l’approvazione dello statuto sia un presupposto necessario perché un partito possa agire politicamente mostra certamente la volontà del Pd di danneggiare il MoVimento 5 Stelle, che in base al proprio Dna non vuole “aziendalizzare” il movimento, ma lo vuole molto orizzontale e poco verticistico. Su questo daremo battaglia, come stiamo insistendo sul fatto che, se la commissione rendiconti non ha potuto lavorare, i partiti non potranno ricevere i finanziamenti fino a quando l’organo non avrà affermato la regolarità dei bilanci dei partiti stessi.

Se però sarà approvato il disegno di legge presentato da vari parlamentari Pd, in base al quale il mancato deposito dello statuto vagliato dalla commissione comporterà l’esclusione delle liste dalle elezioni, che farete?

Eh, lo depositeremo.

L'autore: Gabriele Maestri

Gabriele Maestri (1983), laureato in Giurisprudenza, è giornalista pubblicista e collabora con varie testate occupandosi di cronaca, politica e musica. Dottore di ricerca in Teoria dello Stato e Istituzioni politiche comparate presso l’Università di Roma La Sapienza e di nuovo dottorando in Scienze politiche - Studi di genere all'Università di Roma Tre (dove è stato assegnista di ricerca in Diritto pubblico comparato). E' inoltre collaboratore della cattedra di Diritto costituzionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Parma, dove si occupa di diritto della radiotelevisione, educazione alla cittadinanza, bioetica e diritto dei partiti, con particolare riguardo ai loro emblemi. Ha scritto i libri "I simboli della discordia. Normativa e decisioni sui contrassegni dei partiti" (Giuffrè, 2012), "Per un pugno di simboli. Storie e mattane di una democrazia andata a male" (prefazione di Filippo Ceccarelli, Aracne, 2014) e, con Alberto Bertoli, "Come un uomo" (Infinito edizioni, 2015). Cura il sito www.isimbolidelladiscordia.it; collabora con TP dal 2013.
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