Tsipras, l’Europa e l’astensionismo: la Grecia al voto fra mille dubbi

Pubblicato il 19 Settembre 2015 alle 11:17 Autore: Redazione
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Per la terza volta nel giro di appena quattro anni, i greci saranno chiamati ad eleggere il nuovo Parlamento. Le elezioni si terranno domani, eppure l’evento sembra destinato a passare quasi inosservato fuori dai confini ellenici. Quel che è certo è che stavolta lo scrutinio non procederà sotto i riflettori di mezza Europa, come nello scorso gennaio. In quell’occasione – come raccontammo in diretta da Atene – il trionfo di Alexis Tsipras e della sinistra radicale di Syriza avvenne in un clima di liberazione nazionale, tra folle entusiaste e canti partigiani. Parliamo di appena otto mesi fa, ma da quel giorno molto è cambiato.

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A gennaio Tsipras ottenne un risultato ragguardevole (36,4%), fermandosi però a 149 seggi, appena due in meno rispetto ai 151 necessari per governare. Si rese così inevitabile un governo di coalizione con ANEL, un partito nazionalista ed euroscettico collocato però a destra. Il governo Tsipras partì subito con una serie di riforme tese a redistribuire le (poche) ricchezze, tra le quali l’aumento del salario minimo, il ripristino dell’energia elettrica coloro che non erano riusciti a pagare le bollette, il reintegro di dipendenti pubblici licenziati dal governo precedente. La vera partita, però, si giocava sul piano dei rapporti con Bruxelles e consisteva nel ridiscutere l’ingente debito greco nei confronti dell’Unione Europea.

Nel corso di questi mesi, il primo ministro Tsipras – coadiuvato dal discusso ministro delle Finanze, l’economista neomarxista Yanis Varoufakis – ha pressato ripetutamente sull’establishment dell’UE per rendere più flessibili le modalità di ripianamento del debito, affinché si potesse alleggerire il costo sociale della crisi, gravante soprattutto sulle categorie meno agiate. Le trattative, tuttavia, non hanno portato a risultati concreti, se non a quello di indire una consultazione popolare che valutasse la proposta “lacrime e sangue” dei creditori. Il referendum, tenutosi il 5 luglio, ha visto prevalere il No con il oltre il 60% dei voti. I margini di manovra, però, sono rimasti molto limitati per l’esecutivo, tanto che nelle settimane successive Tsipras si è ritrovato costretto a siglare un nuovo accordo, certo meno “drammatico” del precedente, ma comunque impegnativo per il governo e per il paese, giudicato necessario da Bruxelles per evitare il default dello Stato ellenico. Il Parlamento, grazie anche all’appoggio dei partiti europeisti, approva il pacchetto. Ma non tutta Syriza gradisce. Il gruppo più a sinistra, che fa capo a Varoufakis e al ministro dell’ambiente Lazafanis, decide di fuoriuscire da Syriza. Tsipras, preso atto del risultato deludente portato a casa, sceglie di ridare voce al popolo, annunciando nuove elezioni.

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Alexis Tsipras

Stavolta, però, Syriza si presenta agli elettori con una carica emotiva infinitamente ridimensionata rispetto all’ultimo appuntamento elettorale. Una buona parte dell’elettorato, pur riconoscendo a Tsipras un impegno costante finalizzato ad individuare una soluzione condivisa, non nasconde una certa delusione nei confronti del governo uscente. Il 36% della volta scorsa appare un miraggio per Syriza, che perderà una consistente fetta dei propri voti a favore di Unità Popolare, il nuovo partito nato dalla sua costola sinistra, facente capo ai ribelli guidati da Lazafanis. Si prevede, inoltre, che molti delusi decideranno questa volta di restare a casa. In questo caso, i voti persi da Syriza non andrebbero verso altri partiti, limitandone quindi il calo – se rapportato in termini relativi. Nei pochi giorni disponibili per la campagna elettorale, tuttavia, Tsipras ha puntato proprio a recuperare delusi e indecisi. Come ha spiegato anche il ministro  degli Esteri Nikos Kotzias in un’intervista al Manifesto di ieri, l’obiettivo è quello di “convincere i cittadini che a gennaio hanno votato Syriza, che a luglio hanno votato no al referendum, e che oggi sono indecisi tra votare Syriza e scegliere l’astensionismo”. È quello che interessa anche a Tsipras, che lo ha ribadito ieri a piazza Syntagma. “Il governo di sinistra non è stata una breve parentesi”, ha affermato il leader di Syriza durante il comizio finale, chiuso dalle note di Bella ciao.

Ad alimentare le speranze della sinistra c’è poi lo scarso appeal elettorale del principale leader avverso, Vaghelis Meimarakis, candidato di Nea Demokratia, il partito conservatore dell’ex premier Samaras. Politico di lungo corso, Meimarakis ha ricoperto in passato il ruolo di ministro della Difesa, ruolo per il quale è stato messo sotto accusa in seguito a una spesa per cacciabombardieri e carri armati decisamente spropositata rispetto al Pil del paese, spesa per giunta autorizzata senza ricorrere neppure a gare d’appalto e in seguito alla quale è venuto a crearsi un buco di bilancio pari a circa 210 milioni di euro. Meimarakis, inoltre, è uno degli emblemi della vecchia nomenklatura conservatrice, considerata tra i principali responsabili del disastro finanziario, piuttosto invisa all’elettorato.

meimarakis

Vaghelis Meimarakis

A sperare di guadagnare punti dalla crisi dei due partiti principali sono le formazioni intermedie, quelle cioè che si prevede conquistino tra i 10 e i 20 seggi. Partendo da destra, troviamo i neonazisti di Alba Dorata, che – dati intorno al 7% – dovrebbero mantenere il terzo posto. Con gran parte dei dirigenti incarcerati o sotto indagine addirittura per omicidio, Alba Dorata continua a fare politica nonostante le numerose richieste di espellere il partito dall’agone elettorale, in quanto contrario ai principi costituzionali e di chiara ispirazione nazifascista. A rischio esclusione dal Parlamento – ma solo per eventuale mancato raggiungimento del quorum del 3% – troviamo poi il già citato ANEL, partner di governo di Syriza, che potrebbe pagare un prezzo salatissimo l’alleanza con un partito diametralmente opposto, al quale lo univa soltanto una decisa opposizione alle politiche della trojka. Spostandoci verso il centro, troviamo due soggetti politici che i sondaggi attestano intorno al 5%. Il primo è To Potami (“Il fiume”), aggregazione centrista trainata dal noto conduttore televisivo Stravos Theodorakis, che ha debuttato alle scorse elezioni riportando un ottimo 6%, sfiorando il terzo posto. C’è poi il PASOK, lo storico partito socialista tra i protagonisti della transizione democratica greca, da qualche anno caduto in disgrazia dopo aver subìto i diktat di Bruxelles e al momento privo di prospettive di ripresa, nonostante la nuova leadership di Fofi Gennimata. Infine, a sinistra di Syriza, oltre a Unità Popolare troviamo un’altra storica realtà della politica greca: il KKE, partito comunista di matrice fortemente ortodossa (e non nel senso religioso del termine, ci mancherebbe) da sempre critico nei riguardi della sinistra di governo.

I sondaggi assegnano quasi una parità fra Syriza e Nea Demokratia (anche se le ultime rilevazioni darebbero la prima in testa con uno scarto medio di 2-3 punti percentuali), e a prescindere da chi la spunterà appare quasi certa la necessità di ricorrere nuovamente alle larghe intese. Salvo sorprese, infatti, il premio di maggioranza di 50 seggi non sarà sufficiente alla lista vincente per poter governare. Per questo, oltre alla competizione fra i due principali contendenti, vi sarà una lotta parallela interessante da seguire, con protagonisti Pasok e To Potami (e in minima parte anche Unità Popolare). Consapevoli del loro ruolo di “partito-cuscinetto”, saranno pronti a mettere sul tavolo tutto il proprio peso elettorale in un contesto molto intricato, dove i 15 seggi che porta in dote un partito medio-piccolo potrebbero rivelarsi determinanti. C’è poi chi guarda persino a una coalizione di estrema sinistra Syriza-Unità Popolare-KKE, ipotesi altamente improbabile ma non del tutto impossibile. Gli esiti della consultazione potrebbero essere influenzati anche da un prevedibile aumento dell’astensionismo, soprattutto fra pensionati e classe media. Dunque gli scenari teorizzabili all’ombra del Partenone si presentano numerosi, a fronte di certezze – almeno fino a domenica – pari pressoché a zero.

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