Oscar Luigi Scalfaro: un ritratto non scontato

Pubblicato il 30 Gennaio 2012 alle 08:32 Autore: Livio Ricciardelli
oscar luigi scalfaro

Scalfaro applicò sempre il suo mandato all’insegna del parlamentarismo, espressione massima di quella Costituzione che da costituente aveva contributo a scrivere. Per portare avanti quella forma di governo in una nuova fase politica che pur avendo mutato partiti e parte della leadership non aveva subito quelle modifiche costituzionali che avrebbero consentito un cambio di registro.

E allora appariva, in maniera quanto mai strumentale e per motivi storicamente non acclarati, come il “Presidente del ribaltone,” perché non avrebbe sciolto le camere nel 1994 a seguito della crisi del primo governo Berlusconi. Ignari del fatto che, se non si sciolsero le camere, era perché a quanto pare c’era una maggioranza alternativa a cui tra l’altro Berlusconi e Fini consentirono un’astensione attraverso la fiducia al primo governo Dini.

In queste turbolenze si collocano le sue famose esternazioni che in questi giorni vengono riproposte insistentemente: da “io non ci sto’!” a “l’Italia risorgerà” diede di fatto vita ai “governi del presidente” (Ciampi, 1993) dove il Capo dello Stato, conscio del vuoto politico, si prendeva una responsabilità in più di fronte alla società e al popolo.

Si parlò anche di un rinnovo del settennato per lui, nel 1999. Non se ne fece nulla. E anche questo atto fu in parte d’apripista, se consideriamo il comunicato stampa di Ciampi che nel 2006 declinava un’analoga ipotesi perché alla fine è importante avere un ricambio marcato ogni sette anni anche e soprattutto al Quirinale.

Scomparve dalla scena per qualche anno. Lo incrociai una volta in televisione, stupendomi della cosa, ad una presentazione di una mostra accanto a Ciampi. Ebbe un battibecco in Senato col premier Berlusconi che molto diplomaticamente lo mandò a quel paese.

Poi nel 2006 la ricomparsa in scena, con la battaglia contro le modifiche costituzionali della cosiddetta “devolution”. Una battaglia vinta nel bel mezzo dell’estate del 2006, quando l’Italia batteva agli ottavi di finale dei mondiali di calcio la nazionale australiana, e il paese si abituava ai primi mesi di presidenza Napolitano, suo successore alla Presidenza della Camera nel 1992.

Nel 2007 il sostegno nemmeno troppo implicito alla nascita del Pd espressa attraverso la presidenza onoraria dei comitati Veltroni in giro per l’Italia. Era del resto una delle poche tessere onorarie del partito.

E in fondo è questo il messaggio politico più forte che, assieme all’abnegazione istituzionale, Scalfaro ci lascia: il paradosso di un uomo conservatore, un “democristiano di destra”, che però era di fatto considerato un padre nobile del centrosinistra riformista. Forse un paradosso, ma non era colpa sua.

Lui aveva capito tutto. Dall’inizio alla fine. Erano tutti gli altri che avevano le idee un po’ troppo confuse.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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