Bertinotti: “Renzi fa come Blair”

Pubblicato il 14 Marzo 2014 alle 15:30 Autore: Marco Caffarello

Intervistato dall’Huffington Post di Lucia Annunziata per l’ex leader di Rifondazione Fausto Bertinotti dire che Matteo Renzi è uguale a Letta o Monti è un errore. Il rampante fiorentino è visto dall’ex presidente della Camera come un nuovo Blair; mantiene il liberismo dei mercati accrescendo lo stato sociale. Non sempre però le parole dell’ex presidente della Camera sono al miele.

Intervistato dall’edizione italiana dell‘Huffington, celebre testata giornalistica, in Italia diretta da Lucia Annunziata, Fausto Bertinotti, storico leader di Rifondazione Comunista ed ex Presidente della Camera ai tempi dell’allora governo Prodi, ha espresso la sua opinione intorno alle tematiche dell’attuale dibattito politico. Incalzato dalle domande della giornalista ( Angela Mauro) l’ex Presidente della Camera ha così potuto scattare la sua istantanea sul presente, tempo che ha un solo protagonista, Matteo Renzi, un protagonismo quello dell’attuale premier descritto dallo stesso in termini di un’egemonia:”

Non si compia l’errore di dire che Renzi è uguale a Letta o Monti. Renzi pone una sfida nuova. E di fronte a questo, o hai un armamentario critico di politica economica oppure non esisti. E infatti la sinistra non esiste, mi pare.. Renzi fa come ha fatto Blair dopo la Thatcher… Mette in campo la prima proposta italiana di social-liberismo, che però non risponde alla questione della disoccupazione e della precarietà. Porta il post-moderno in politica. Si muove come un surfista, in economia come in politica, sta sull’onda. Stravince, è egemone perché nel centrosinistra non c’è alternativa a lui, non c’è un’alternativa di politica economica… Pensa come il senso comune. Anzi è la personificazione del senso comune”.

 

E’ questa dunque per l’ex leader di Rifondazione la carta vincente del rampante fiorentino, la sua capacità quasi camaleontica di saper meglio vedere, sentire ed esprimere il senso comune (un filosofo parlerebbe di ‘realismo’), senza però che ad esso si accompagni, a ben vedere, un vero ideale. Tant’è che tra le righe Bertinotti dice ancora: “E’ egemone, pensa come il senso comune. Anzi è la personificazione del senso comune. Padroneggia la lingua della gente comune e per questo scavalca il dibattito delle forze politiche: semplicemente ne è disinteressato. Tutti possono minacciarlo ma non possono farlo cadere.”

Ciò che davvero secondo l’ex presidente Bertinotti ha favorito il fiorentino rispetto ai suoi ‘competitor’, Enrico Letta su tutti, è dunque la sua stessa abilità a saper interpretare il senso comune, a saper leggere in anticipo le tendenze, dove va e andrà la società, e con essa la politica, una sapienza dell’ex sindaco di Firenze che tuttavia ha il suo prezzo, la fedeltà agli ideali e ai valori del vero socialismo, della vera sinistra.

Diversamente quindi dal parere positivo dei sindacati, come quello della Camusso, e di alcuni partiti anche dell’opposizione, come SEL di Nichi Vendola, all’indomani della presentazione alla stampa delle manovre che Renzi ha voluto apportare al fine di scongiurare al Bel Paese un declino ormai certo, per l’ex leader di Rifondazione “chiedersi se  le politiche di Renzi sono di sinistra è la cartina di tornasole del fatto che non c’è più una cosa che noi abbiamo chiamato sinistra, cioè un’idea di alternativa di società.” 

Un’idea questa espressa dall’ex presidente che a ben vedere è in tutto fedele a quella sostenuta da filosofi appartenenti alla tradizione della sinistra idealista- marxista come Costanzo Preve e Diego Fusaro, che in tempi non sospetti, quando Renzi era ancora lontano dal sedersi sulla poltrona di Palazzo Chigi, aveva interpretato l’attuale primo ministro come colui che difronte al declino dei valori della sinistra idealista, difronte allo scioglimento dell’unità di pensiero che ha tenuto legate tradizioni e linguaggi del variopinto, difficile ed internazionale popolo della sinistra storica, “si è tolto la maschera per assumere un linguaggio apertamente neo-liberale”. Non a caso, come per molti, stampa sopratutto, ciò che del fiorentino seduce, ipnotizza, è proprio il suo linguaggio, il suo stile, il suo impatto comunicativo, fatto di battute, cordialità, e di ‘slide’, una tecnica a cui tuttavia tra le righe l’ex leader di Rifondazione invita quasi a starne in guardia:

quel tipo di comunicazione è un elemento costitutivo del fenomeno Renzi. Non è trascurabile, non è un orpello. Inoltre, Renzi determina uno slittamento ulteriore verso una politica neoautoritaria, che abbiamo già visto all’opera con lo svuotamento del Parlamento in nome della governabilità e del governo in nome della Troika. Lui ci aggiunge un altro tocco. E cioè che al governo non è richiesto che faccia disegni di legge o decreti, ma che faccia annunci. Il che però non è meno importante, ma è un modo attraverso il quale l’intero processo legislativo viene vanificato. E’ un nuovo metodo, più simile ad una modalità di partito che alla gestione di un governo. E’ un fenomeno postmoderno. Possiamo dire che Renzi porta completamente il postmoderno sulla scia della politica e chiude non solo con la storia della sinistra del 900 ma anche con il moderno della politica democratica rappresentata dalla centralità del Parlamento”.

Una preoccupazione quella del Presidente Bertinotti condivisa in realtà da un altro veterano della politica, come Massimo D’Alema, che intervistato ieri da Rainews 24 (sebbene molti siano a conoscenza che tra i due non corra affatto buon sangue) ha riferito che il rischio più grave che presuppone una personalità come quella dell’ex sindaco, è proprio la perdita dell’importanza, del ruolo e dell’autorità del partito in quanto tale, svuotato per così dire dal ‘gigantismo’ del fiorentino.

Neppure le politiche economiche appena assunte volte a riequilibrare la forbice sociale attraverso un alleggerimento della pressione fiscale per i ceti più bassi e un rialzo di quella dei più alti, sono infatti intese da Bertinotti come un ripristino di una vera dialettica socialista in quanto tale; al contrario, rappresentano al meglio la componente neo-liberale che serpeggia tra le idee del nuovo primo ministro. Così infatti conclude l’ex presidente per l’Huffington, passo da cui si evince quello che è il nucleo, la sostanza del pensiero di Bertinotti intorno alla figura di Renzi, paragonato dallo stesso a quella nient’affatto banale di Tony Blair, l’ex premier inglese degli anni 90′, a cui infatti il nuovo primo ministro ha spesso in passato ammesso di ispirarsi:

Lui conserva la durezza dell’impianto di politica economica, mantiene il nocciolo duro delle politiche neoliberiste, il primato del mercato, la competitività delle merci, il mantenimento di questo modello di sviluppo, l’attenzione al mercato. Ma contemporaneamente guarda ai consumi dei ceti più disagiati e poveri, per evitare il rischio di implosione sociale e ingovernabilità. Apre ad una politica cautamente redistributiva, attraverso gli 85 euro in più in busta paga per i redditi bassi e l’aumento della tassazione delle rendite finanziarie. Questa è la componente social del suo liberismo che non prevede una demolizione dello stato sociale, al contrario di quanto abbiamo visto negli ultimi 15 anni fino a Monti. Renzi fa come Blair fece con la Thatcher: non la mise in discussione, ma non si accanì andando oltre, perché sposta il baricentro su una riforma strutturale del mercato del lavoro. Ed è qui che sta il carattere più liberista di Renzi: nella gigantesca liberalizzazione del mercato del lavoro perché prevedere 3 anni di assunzione e poi libertà di licenziamento è un grimaldello contro l’unità della compagine lavorativa…