Come è cambiata la propaganda in Russia dal Comunismo a Putin

Pubblicato il 4 Aprile 2014 alle 14:39 Autore: Marco Caffarello

Non sono trascorsi neppure venticinque anni da quel novembre del 1989, mese che segnò la fine dell’esperienza del comunismo Sovietico e con esso dell’ideologia della Rivoluzione d’Ottobre, il fantasma che Marx invocò tra le righe del Manifesto, eppure da quei tempi sembra passato già un millennio.

Complice la crisi ucraina di queste ultime settimane, la moderna Russia è tornata oggi a far parlare di sé, se non a ‘spaventare’ il mondo intero, quasi si trattasse di un revival di guerra fredda, e come giustamente osserva l’Economist in un articolo pubblicato soli pochi giorni fa, notevoli sono le differenze con il passato sovietico; ad esser cambiato delle modalità di gestione del potere da parte dei leader del Cremlino, è sopratutto la propaganda, lo stile con il quale i leader della terra dei grandi romanzi di Dostoevskij, Checov e Tolstoj, parlano al loro popolo, una retorica che per la celebre testata inglese costituisce un perfetto mix di sciovinismo, nazionalismo ed imperialismo’. 

Dalla caduta del comunismo Sovietico, un evento storicamente complesso, dettato principalmente dall’involuzione della gestione del potere da parte dei vertici del partito,immobili difronte ai rapidi cambiamenti sociali che anche nella loro terra stavano avvenendo, tanto da richiedere quel piano di riforme di colui che a conti fatti ne sarà l’ultimo segretario generale, Michail Gorbaciov, la ‘leggendaria’ perestrojka, molte cose sono cambiate e, sottolinea l’Economist, ad esser cambiato sotto il Cremlino non è solo la struttura del potere, ma sopratutto la natura della propaganda.

E’ sufficiente infatti guardare alla figura oggi responsabile della propaganda di Putin in Russia, Dmitry Kiselev, la vera voce dell’Orso Russo, attuale capo della RIA Novosti (Russian Information Agency Novosti) agenzia di informazione russa, per capire meglio dove e in cosa la propaganda in Russia stia cambiando; differentemente infatti dalla retorica dei grandi leader sovietici del passato, che attingevano ai grandi ideali della Rivoluzione d’Ottobre, e dunque utilizzavano anche un lessico, spiega il giornale londinese, certamente più filosofico, metafisico, dialetticamente ed eticamente in opposizione ai modelli della retorica occidentale, la propaganda di Kiselev è di gran lunga più ‘teatrale, sarcastica ed esaltata’. Una teatralità di Kiselev che stando all’opinione che se ne fa l’Economist, non sembra casuale, né tanto meno secondaria, ma rappresenta la vera leva attraverso la quale Putin, e il suo ‘regime’, alimentano paure, se non odio del popolo russo nei confronti dei nemici occidentali, la nostalgia per i grandi fasti del passato quando Grande Madre Russia recitava nello scacchiere politico e diplomatico internazionale un ruolo egemone.

Una retorica quella adoperata dal braccio destro di Putin non a caso definita dall’Economist come un mix perfetto di ‘sciovinismo, nazionalismo e nuovo imperialismo’, ed è in questa chiave, quindi, che va letta anche la propaganda omofoba degli ultimi mesi.

La retorica anti-gay di cui l’amministrazione Putin si è resa protagonista rientra quindi pienamente nei piani della propaganda del suo leader che, naturalmente, tende ad esaltare il rigore e la nobiltà dei costumi morali nazionali a fronte della degenerazione occidentale, con la quale, appunto, neppure la famiglia ha una sua propria specifica identità.

Ciò che in sostanza sta davvero tentando Putin con la sua gestione, spiega L’Economist, è ricostruire quindi ‘l’unità del pensiero’ del popolo russo, un obiettivo per il quale, la cronaca degli ultimi tempi racconta, non si è avuto scrupolo neppure di licenziare in tronco dal suo posto di insegnante di Storia presso un Liceo di Mosca Andrei Zubov, uno storico russo, reo di aver paragonato l’annessione della Crimea alla Russia con l’annessione dei Sudeti della Germania nazista di Hitler.

Così infatti è scritto tra le righe de l’Economist, “Molti hanno paura di esprimere le proprie opinioni, non perché possono incorrere in punizioni, ma perché possono essere isolati . Qualsiasi dissidente è descritto da Putin come “quinta colonna ” e “traditore nazionale” .

Eppure, guardando ai sondaggi, l’annessione della Crimea ai territori della Russia Bianca ha fatto letteralmente lievitare il gradimento della popolazione locale per le politiche dello Zar, tant’è  l’indice di gradimento è salito oggi al 80 %  dal 65 % che fu di gennaio, così come cresciuta è la fetta di popolazione che desidera vederlo rieleggere, passata dal 32 % al 46 %.

Sia questo un pericolo per la pace internazionale, si chiede giustamente l’Economist?  La sua risposta è in un certo qual modo affermativa, perchè ora il rischio, dopo lo scoppio della crisi ucraina, è rappresentato  dallo stesso isolamento internazionale in cui è caduta la Russia e la possibilità che la popolazione locale inizi a credere seriamente alla propaganda sciovinista del suo leader, o che, come giustamente conclude l’articolo, le sanzioni che hanno imposto gli occidentali paradossalmente lascino spazio ad ulteriori avventurismi.

http://www.economist.com/news/europe/21599829-new-propaganda-war-underpins-kremlins-clash-west-1984-2014