Novorossiya. L’Ucraina di Putin

Pubblicato il 8 Settembre 2014 alle 13:31 Autore: Guglielmo Sano

Era il 4 Aprile 2008 quando Vladimir Putin gelò George W. Bush al vertice NATO di Bucarest: “capisci, George? L’Ucraina non è nemmeno uno Stato! Che cos’è l’Ucraina? Parte del suo territorio è Europa orientale. Ma l’altra parte, quella più importante, gliel’abbiamo regalata noi!”. Già allora Georgia e Ucraina mostravano interesse per l’ingresso nell’Alleanza Atlantica e le parole di Putin erano una provocazione al riguardo. Se Tbilisi e Kiev sceglieranno di fare dei passi verso Ovest, la Russia non le lascerà scappare col bottino e si riprenderà ciò che è di sua proprietà, avvertiva Putin sei anni or sono. La Georgia nel frattempo si è vista togliere Ossezia del Sud e Abcasia, semi-annesse da Putin per ragioni di peacekeeping. Washington in quell’occasione aveva parlato di piecekeeping: il concetto è tornato utile negli ultimi mesi.

 Infatti recentemente è toccato all’Ucraina fare i conti con quello che l’analista Vitaly Trentjakov ha chiamato “Progetto per la Rinascita Russa”. La Crimea ne è l’esempio lampante: la regione sul Mar Nero, per decisione di Chruscev, nel 1954 venne ceduta in comodato dalla Repubblica Federativa Sovietica Russa a quella Ucraina. Dopo i fatti di Maidan Nazalezhnosti è entrata a far parte della Federazione Russa per via referendaria: un processo tutt’altro che indolore per Kiev, per gli Usa e per l’Ue.

 “La Russia sarà indipendente e sovrana, o non sarà”: ribadisce, ogni volta che ne ha la possibilità, Putin. Da più di un decennio la Federazione è tornata ad affacciarsi alla porta delle grandi potenze planetarie ma con una differenza rispetto al passato. Il mondo diviso in blocchi ha conosciuto la contrapposizione dura e a tratti anche violenta, seppur “triangolata”, di Usa e Urss. Il nuovo equilibrio globale è da costruire insieme a Usa, Cina, India e all’Europa, se mai si farà. A Mosca questo lo sanno bene ma, come dice l’influente stratega russo Valeri Kaganov, “lo faremo solo da grande potenza”.

 La “svolta” nella politica estera russa è cominciata il 10 Febbraio 2007 a Monaco di Baviera con il discorso di Putin alla 43° conferenza sulla sicurezza internazionale. Secondo Dimitri Trenin, presidente del consiglio scientifico del centro moscovita della Fondazione Carnegie, il senso di tale “svolta” consiste nel “ritorno della Russia alla condizione di giocatore autonomo, non legato da nessuna relazione di subordinazione all’Occidente, sulla scena internazionale”. In breve: “accettateci tali, quali siamo, non interferite con i nostri affari interni, mantenete le relazioni con noi alla pari; laddove i nostri interessi si incrociano, la soluzione può essere solo di compromesso, noi cederemo solo se cederete voi” scriveva allora Trenin per sottolineare il passaggio “dalla subordinazione alla coordinazione” tra la Russia e l’Occidente.

ucraina georgia

L’Ovest, l’Europa in primis, sono destinati a rimanere “altro” dalla Russia che d’altra parte è un soggetto politico-culturale difficilmente omologabile e inadatto a far parte di coalizioni a leadership forte, quale potrebbe essere la NATO. È ormai svanito il progetto gorbaceviano di un’Europa “allargata”, forse anche l’orizzonte della cooperazione si è definitivamente dissolto. D’altra parte è già iniziata una campagna di riappropriazione dei territori ex-sovietici, tuttavia, d’impronta nettamente “zarista”, “anti-liberale”, volendo “conservatrice”.

 Per Trantjakov, che riferisce le inclinazioni geopolitiche della nomenclatura russa simili ma non uguali a quelle di Putin (molto più pragmatico), potrebbero presto (ri)entrare a far parte della Federazione: la Transinistria, l’Ossezia del Sud, forse il Kirghizistan, la Crimea è già “tornata a casa”. L’Abcasia, l’Armenia insieme al Nagorno-Karabakh (regione contesa con l’Azerbaijan) e il Tagikistan, invece, dovrebbero presto entrare a far parte dell’Unione doganale a cui già hanno aderito la Bielorussia e il Kazakistan. All’Unione infine aderirebbero anche le regioni sudorientali dell’Ucraina. Autoproclamatesi indipendenti da Kiev, le Repubbliche di Donetsk e Luhansk, hanno assunto il nome di Stato federale della Nuova Russia (Novarossiya).

 La Nuova Russia di oggi, però, non combacia esattamente con quella del passato. Con questo nome nel XIX secolo, quando si intensificò la russificazione di un territorio a più riprese Tataro, Cosacco e Ottomano, si indicavano più o meno la Zaporozzja, l’attuale Oblast di Dnipropetrovsk e quello di Mykolayv, quello di Kherson e di Odessa. Nel XXI secolo Nuova Russia sono soprattutto le regioni di Donetsk e Luhansk ma anche quella di Kharkiv. Prima dell’arrivo dell’Impero zarista queste zone erano “loca deserta”, territori devastati da secoli di guerre. Nell’Ucraina del 2014 sono tornate a essere desolate e sofferenti, anche se in questi giorni si è aperto uno spiraglio di pace.

 I separatisti filorussi sembrano aver avuto la meglio sull’esercito ucraino nelle ultime settimane. Oltre a quello di Donetsk e Luhansk, i separatisti sono riusciti ad “aprire” anche un terzo fronte, nei pressi di Mariupol.

ucraina russia

Da parte di Kiev e dei suoi alleati si sostiene che la Russia non ha solo finanziato ed equipaggiato i ribelli ma ha anche partecipato attivamente alle operazioni militari. A provarlo sarebbero le foto satellitari della NATO, che mostrerebbero mezzi russi varcare il confine, ma anche il fatto che si sia resa “necessaria” una tregua dopo il passaggio del convoglio di aiuti umanitari inviato da Mosca verso Luhansk. Per le autorità ucraine altro non era che un carico di sofisticate tecnologie antiaeree. Aperta la questione sulla presenza o meno di soldati russi in territorio ucraino: confermata dal leader separatista Zacharenko, che ha aggiunto “sono ex-militari o comunque in congedo”. È bene precisare che un aiuto segreto sicuramente c’è stato e tuttora continua a esserci, altra cosa sarebbe provare un aiuto palese.

 Detto ciò, sembra che le forze armate novorusse (NAF), grazie a una strategia di consolidamento delle posizioni piuttosto che di penetrazione profonda in territorio “nemico”, siano in una posizione di vantaggio non solo da un punto di vista operativo ma anche politico. Kiev ha pagato le divisioni “ideologiche” di governo e opposizione, elezioni per un “nuovo parlamento” si terranno a fine Ottobre, la caduta libera dell’economia ha portato a compiere più di una scelta impopolare in materia fiscale, oltre al risalto internazionale avuto da stragi di civili ingiustificate probabilmente perseguibili a livello di diritto internazionale, riferiscono sia Amnesty International sia Human Rights Watch. Da simili accuse non sono immuni i filorussi, d’altra parte le Repubbliche di Donetsk e Luhansk sono considerate “organizzazioni terroristiche” dall’Ufficio del Procuratore Generale di Ucraina.

 Se il cessate-il-fuoco reggerà Poroschenko dovrà sedersi al tavolo delle trattative e concedere alla Novorossiya molto più di quanto si aspettava al momento della sua elezione, quando aveva addirittura promesso il ritorno della Crimea all’Ucraina. Non ci sarà nessun colpo di spugna: le opzioni sono due soltanto, anche se con numerose imprevedibili sfumature, o l’indipendenza completa o l’indipendenza di fatto per Donetsk, Luhansk e non solo.

 Se l’Ucraina dovesse lasciar andare via la Repubblica Federale, la Novorossiya potrebbe decidere da sé il suo destino: in questo caso sarebbe probabile l’associazione alla Federazione Russa. Alexander Gusev, Presidente della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI), si è detto sicuro che la Repubblica diventerà presto un nuovo Stato; l’Ossezia del Sud l’ha già riconosciuto tale, la Serbia ha promesso un’ambasciata alle “autorità” di Donetsk. L’indipendenza completa significherebbe tuttavia la fine delle pretese territoriali dei filorussi: città come Odessa, Dniepropetrovsk, Kharkov, Chernigov, Nikolaev e molte altre a maggioranza russa rimarrebbero a Kiev. Insomma non ci sarebbero più spazi di negoziazione.

ucraina novorussia

L’opzione dell’indipendenza de facto ma non de jure sembra quella maggiormente percorribile. Basterebbe dire che tutte le parti salverebbero la “faccia” grazie al mantenimento di un’Ucraina “unitaria”. In uno “Stato Federale Ucraino” la “Nazione Russa” si sentirebbe garantita dal punto di vista fiscale e culturale continuando a fornire il 20% del PIL nazionale.

È inutile dire come i separatisti propendano per l’opzione dell’indipendenza completa. A questo punto potrebbe entrare in scena la Russia a cui interessa un “vicino di casa” prospero e pacificato ma soprattutto neutrale specialmente nei confronti della NATO, sempre più vicina ai confini della Federazione e pronta a bloccare le rivendicazioni geografiche di Mosca al momento opportuno.

 Putin potrebbe spingere proprio per l’opzione dell’indipendenza non giuridica ma di fatto. La Russia avrebbe un avamposto per controllare da vicino la politica Ucraina, forse non avrà più un “satellite” ma una forte assicurazione sulla propria sicurezza.

 

L'autore: Guglielmo Sano

Nato nel 1989 a Palermo, si laurea in Filosofia della conoscenza e della comunicazione per poi proseguire i suoi studi in Scienze filosofiche a Bologna. Giornalista pubblicista dal 2018 (Odg Sicilia), si occupa principalmente di politica e attualità
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