Non solo articolo 18, cambiamo tutto il mercato del lavoro

Pubblicato il 21 Settembre 2014 alle 16:29 Autore: Livio Ricciardelli
camusso renzi poteri forti

Diciamoci la verità: la crociata all’interno del Pd sul mercato del lavoro dal punto di vista strettamente formale è la classica “tempesta in un biccher d’acqua”. Renzi attraverso il Jobs Act vuole rivedere il sistema del reintegro nel caso di licenziamento di un dipendente in un’azienda con più di 15 dipendenti. E punta ad un indennizzo come “contropartita” da dare al lavoratore licenziato. La sinistra dem minaccia il Vietnman in Parlamento.

Il bello è che la riforma del lavoro non prevede solo questo. Ma si parla praticamente solo di questo. La croce e delizia del dibattito sull’articolo 18 in Italia è che si tratta di un gatto che si morde la coda. Non riguarda quasi nessuno in un paese pieno, nei suoi distretti industriali, di Partite Iva in grado di rappresentare la seconda economia manifatturiera d’Europa.

Le ipotesi dunque sono due: o, proprio perché non riguarda praticamente nessuno, si lascia l’art. 18 cosi com’è, oppure, visto che è una norma de facto inutile, si lavora alla sua abolizione. Considerando che in Italia c’è stato un periodo storico (più di tre anni!) in cui è esistito un ministero della semplificazione, questo articolo lo si potrebbe pure abolire. Soprattutto se l’obiettivo è una rivisitazione complessiva del mercato del lavoro

lavoro

I cui problemi sono essenzialmente due: precarietà (non auspicabile, a differenza della nuova frontiera della flessibilità lavorativa) e la giungla del sistema contrattuale nostrano. E proprio questo deve essere la sfida del governo: rivedere lo statuto dei lavoratori, il sistema degli ammortizzatori sociali ma in un quadro di riduzione del numero dei contratti. Può andare anche bene il sistema del contratto a tutele crescenti ma a condizione che non sia un contratto in più, ma uno dei pochi in campo. Oltre 40 forme contrattuali sono un’anomalia da scardinare al più presto per chi intende impugnare con enfasi lo scettro delle riforme.

Al tempo stesso non c’è molto da aggiungere alla querelle interna alla sinistra sul tema. Solo due spunti andrebbero considerati: in primo luogo Susanna Camusso, attraverso un improprio paragone tra mondo del lavoro e politica sudafricana, ha dichiarato che “non si è risolto il problema dell’Apartheid peggiorando le condizioni di vita dei bianchi”. Insomma: per le prima volta della storia un leader sindacale ammette di rappresentare le istanze dei privilegiati.

In secondo luogo, a proposito di privilegi, nella sua lettera agli iscritti dem Renzi ha parlato della vecchia guardia che difende l’esistente. Quella del Pd al 25%. Anche in questo caso non c’è troppo da stupirsi. Va bene la differenza destra-sinistra, l’ideologia, un mondo migliore e la rivoluzione. Ma alla fine tutti tengono (e teniamo) famiglia. Mai toccare troppo lo status quo, i dipendenti pubblici, quelli di partito. Proprio per questo, caro Presidente del Consiglio, la sua missione sarà molto ardua. Perché dovrà scontrarsi contro retaggi culturali di tutti gli italiani, consolidati in secoli e secoli di crepuscolare decadimento.

L'autore: Livio Ricciardelli

Nato a Roma, laureato in Scienze Politiche presso l'Università Roma Tre e giornalista pubblicista. Da sempre vero e proprio drogato di politica, cura per Termometro Politico la rubrica “Settimana Politica”, in cui fa il punto dello stato dei rapporti tra le forze in campo, cercando di cogliere il grande dilemma del nostro tempo: dove va la politica. Su Twitter è @RichardDaley
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