Balcani: la questione ciamuriota

Pubblicato il 23 Febbraio 2016 alle 12:30 Autore: Mediterranean Affairs
Balcani, Albania, Ciamuria

Balcani: oltrepassando una tradizione di aristotelica memoria, Hegel riscopre la contraddittorietà intrinseca delle cose quale elemento in grado di spiegarne il divenire e l’incessante movimento. L’idea piace ad Engels e a Marx: il principio di contraddizione viene impiegato per indagare l’evoluzione dei processi sociali e storici. Sebbene l’interesse dei maestri del materialismo dialettico sia circoscritto agli eventi correlati al nascente capitalismo, una qualche illogicità sembra insinuarsi fra le righe del Protocollo di Firenze. Al termine della Prima Guerra Balcanica, nel 1913 una Commissione istituita dal Trattato di Londra ha il compito di conciliare la dibattuta e poco nota questione del distretto di Ciamuria. Oggetto della diatriba: una regione costiera dell’Epiro, bagnata dalle acque del fiume Thyamis (o Çam). Le nazioni antagoniste erano l’Albania e la Grecia, mentre l’elemento caratterizzante era il crogiolo di diversità culturali.

Balcani, Albania, Ciamuria

Balcani: la questione ciamuriota

Le prime ondate di greci (rifugiati della quarta crociata ad opera dell’Impero Latino di Costantinopoli) e di albanesi in Ciamuria risalgono già al Medioevo. La presenza di connazionali indusse sia i vertici greci sia quelli albanesi ad esprimere la volontà di includere entro i propri confini l’intera regione dell’Epiro. Gli studi morfologici di Vladimir Propp insegnano che, se sull’oggetto del desiderio gravano tanto l’interesse dell’eroe quanto quello dell’anti-eroe, quest’ultimo è destinato a soccombere. Lo scenario che si prospetta a seguito della Prima Guerra Balcanica non è in grado di stabilire quale delle due nazioni è proiezione storica di tale antagonismo. Con il Trattato di Londra, avanzò la divisione della regione, mentre fu il protocollo di Firenze a regolare esattamente gli adeguamenti territoriali: la maggioranza albanese della Ciamuria fu ceduta alla Grecia, invece la minoranza greca venne mantenuta entro i confini dell’Albania. Un’evidente inversione delle etnie, velata dall’ombra della contraddittorietà hegeliana. La diplomazia sovranazionale fallì nel suo tentativo di conciliazione, ponendo i presupposti per uno scenario sanguinario. L’ennesima macchia sulle pagine della storia recente dei Balcani.

L’avversione del governo greco verso la minoranza albanese si palesò fin dall’inizio e si riflesse anche a livello religioso: affiorarono tentativi di assimilazione degli ortodossi ed altri di allontanamento dei musulmani mediante attacchi paramilitari e deportazioni. Un’inversione di tendenza si verificò fra il 1940 e il 1941 con l’invasione italiana della Grecia: considerando le sue mire espansionistiche, l’Italia assicurò che, qualora la Grecia fosse caduta sotto il proprio dominio, la Ciamuria sarebbe stata annessa all’Albania. Gli anni del secondo conflitto mondiale si tingono del sangue di greci e albanesi: un susseguirsi di rivendicazioni e di uccisioni tormentano la popolazione locale, totalmente inerme e ormai nostalgica delle frequentazioni amichevoli ormai passate. Gli orrori proseguirono anche nel secondo dopoguerra: la contrapposizione fra i gruppi di resistenza greca, l’EAM-ELAS da una parte e l’EDES dall’altra, acuì il conflitto civile fra il 1946 e il 1949. A seguito della diaspora dei çam espulsi dalla Grecia verso l’Albania, a partire dagli anni Cinquanta la questione fu considerata chiusa, ma le dinamiche più recenti non lo confermano.

Nonostante ai rifugiati albanesi sia stata riconosciuta la cittadinanza obbligatoria, ad oggi la causa dei çam continua ancora ad essere difesa da Shoqëria Politike Atdhetare Çamëria, l’associzione politica che persegue il diritto a rientrare nelle terre d’origine e quello a recuperare il possesso dei patrimoni confiscati durante la guerra italo-greca. Inoltre l’Albania ha recentemente richiesto di abrogare formalmente lo stato di guerra pendente fra i due Paesi dal 1940, sebbene il Trattato di Amicizia e di Collaborazione del 1996 ne avesse implicitamente suggellato l’abrogazione. L’intervento europeo, seppure poco adatto a risolvere questioni meramente giuridiche, sembrerebbe la soluzione ottimale laddove un accordo circa la dimarcazione definitiva dei confini marittimi delle due nazioni, firmato nel 2009, è risultato fallimentare.

Quella della Çameria è una delle pagine più cruente della storia recente dei Balcani: un tentativo di pacificazione sortisce l’effetto contrario, nonché l’avvicendarsi di episodi che rendono ardua la sintesi di tesi e antitesi. La ragionevole risoluzione del finito nell’infinito non è così immediata. Al di là del retroscena politico e della cronistoria degli eventi, resta un brivido di fronte all’ineluttabilità dei meccanismi della storia e all’occasionale negazione di ciò che l’umanità dovrebbe essere. Rimane la sensazione di essere inermi di fronte a “uno scandalo che dura da diecimila anni”, come riportato nel sottotitolo del romanzo “La Storia” di Elsa Morante.

Valentina Femminilli

(Mediterranean Affairs – Contributing editor)

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L'autore: Mediterranean Affairs

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