Dal Brexit al Lexit, quando le ragioni anti UE sono di sinistra

Pubblicato il 19 Giugno 2016 alle 15:01 Autore: Piotr Zygulski
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Lexit, ossia l'”uscita da sinistra” dall’Unione Europea.

Nel referendum sul “Brexit” che il prossimo 23 giugno vedrà i sudditi del Regno Unito esprimersi sulla permanenza o meno all’interno del Regno Unito, due sono i fronti principali: quello del “leave” (lasciare) e quello del “remain” (restare).

Brexit: il fronte del Leave

Tra i partiti schierati per il leave vi è in prima fila l’UK Independence Party (UKIP) guidato da Nigel Farage, che fa della battaglia contro l’Unione Europea il cuore della propria attività politica. L’UE viene descritta come un’istituzione burocratica e non democratica che imporrebbe troppe tasse, regolamentazioni e immigrazione, oltre a chiedere molte più risorse economiche – anche per finanziare gli altri paesi dell’unione meno “virtuosi” – di quanti non siano i benefici per i cittadini britannici. Sempre nel leave ci sono due partiti nordirlandesi “socialmente conservatori”, cioè di destra: il Democratic Unionist Party e il Traditional Unionist Voice. Ad essi si aggiungono, tra gli altri, il Liberal Party (che ha qualche consigliere comunale), i nazionalisti English Democrats e il famigerato British National Party (che nel 2009 elesse due eurodeputati, mentre ora mantiene appena un consigliere comunale), con il gruppo Britain First nato da una sua scissione. Poi, nonostante il partito Conservatore abbia deciso di rimanere “neutrale”, molti suoi membri hanno dichiarato il proprio voto per uscire dall’UE.

Brexit: il fronte del Remain

Ufficialmente a favore del remain ci sono i restanti partiti: i Liberaldemocratici, i Verdi, e poi i partiti nazionalisti scozzesi del SNP, quelli gallesi del Plaid Cymru, oltre ai nordirlandesi conservatori dell’Ulster Unionist Party (UUP), quelli liberali dell’Alliance Party, quelli Socialdemocratici e Laburisti (SDLP) e il Sinn Féin. Anche il Labour, principale forza di opposizione al governo conservatore di David Cameron, si è collocato tra chi sostiene la permanenza del Regno Unito nell’Unione Europea.

Britain Stronger in Europe e Vote Leave: i due schieramenti

Molte le organizzazioni trasversali create per sostenere le fazioni pro-UE e anti-UE, con le capofila, rispettivamente, Britain Stronger in Europe e Vote Leave, che con Leave.EU/Grassroots Out si contende il ruolo guida dello schieramento euroscettico. Se Leave.EU preferisce avanzare motivazioni basate sul controllo delle frontiere e sull’immigrazione – “sono queste le cose che interessano alle persone con i salari più bassi” – Vote Leave adotta una strategia più pacata e concenrtata sui vantaggi economici dell’uscita dall’Unione Europa. Vote Leave è composta da tre gruppi principalmente: Conservatives for Britain, Business for Britain e Labour Leave.

Labour Leave e le ragioni del Lexit, il Brexit di sinistra

Ci concentriamo sul Labour Leave, formato da esponenti del Labour che non si riconoscono nella corrente maggioritaria europeista. Tra i parlamentari laburisti del Labour Leave c’è la storica Kate Hoey, già ministra dello sport nel governo Blair, ma anche Graham Stringer, Kelvin Hopkins, and Roger Godsiff. Veniamo alle motivazioni del Labour Leave, con un Brexit di “sinistra” che è stato già ribattezzato “Lexit“. Il Regno Unito versa a Bruxelles più di 20 miliardi di sterline ogni anno, ma ne riceverebbe meno della metà e senza neppure avere la possibilità di spendere autonomamente per le priorità considerate tali dai britannici. L’UE sarebbe così un “club in declino che vuole più potere per dettare il nostro futuro” in modo non democratico. Si citano poi alcuni campi specifici: l’UE tollererebbe gli allevamenti intensivi, l’IVA che non può essere abbassata sotto al 15% e le inique politiche agricole e di pesca comuni danneggerebbero gli agricoltori, i pescatori e i consumatori del Regno Unito; altri punti riguardano l’acciaio – con Bruxelles che avrebbe lasciato cadere il prezzo della materia, a scapito dell’industria britannica – ma pure le de-regolamentazioni del lavoro (con i contratti a zero-ore e il tramonto della contrattazione collettiva), la continua discriminazione che subirebbe la sterlina, la tolleranza europea verso le evasioni fiscali commesse delle multinazionali e, infine, la minaccia costituita dal trattato di libero scambio TTIP con gli Stati Uniti d’America che abbasserebbe ulteriormente gli standard sanitari, sociali, ambientali e alimentari.

La deputata laburista Kate Hoey schierata per il Labour Leave, il Brexit di sinistra per il Regno Unito

La deputata laburista Kate Hoey (Labour Leave)

Viene presentato un esempio da seguire: quello della Norvegia, che difende il diritto del proprio parlamento a decidere senza interferenze esterne, e non è intenzionata ad entrare nell’Unione Europea. I soldi che, in caso di uscita, il Regno Unito non dovrebbe versare a Bruxelles potrebbero essere utilizzati per “abolire i ticket per le ricette e investire nel sistema sanitario nazionale”, afferma la laburista Gisela Stuart, oppure per l’edilizia popolare, per medici o insegnanti.

Le altre sigle schierate per il Lexit

Tra le altre sigle che propugnano il Lexit – l’uscita “da sinistra” dall’Unione Europea – si iscrivono il partito anti-austerity People Before Profit Alliance (che ha un consenso circa del 2% in tutta Irlanda, compresa quella del nord), il partito socialista scozzese Solidarity, il Partito Laburista Socialista (SLP), il Nuovo Partito Comunista britannico e la Trade Unionist and Socialist Coalition, alleanza elettorale che riunisce alcuni sindacati socialisti. Per il Lexit è sorta anche una coalizione denominata Left Leave, che riunisce il Partito Comunista della Gran Bretagna, i pacifisti di Respect e il sindacato dei trasporti ferroviari e marittimi RMT. Tre anni fa, l’ex presidente della RMT, il sindacalista Alex Gordon, affermava:

Con una “uscita da sinistra”, la Gran Bretagna potrebbe aiutare enormemente tutte quelle nazioni dell’UE che lottano per rinegoziare le condizioni e porre fine alla prospettiva di anni di disoccupazione di massa e di caduta dei salari. Per mobilitare un movimento popolare contro l’austerità le rivendicazioni principali sono la difesa di quello che rimane del welfare state e politiche per creare un’occupazione sicura e sostenibile. La sinistra, il movimento sindacale e tutte le forze che si oppongono all’austerità devono indicare un’alternativa chiara che unisca l’uscita dall’UE con la lotta per il lavoro e per i servizi pubblici. L’uscita “da sinistra” dall’UE è il principale elemento di unificazione per offrire un’alternativa popolare all’austerità, al razzismo e alla xenofobia. La sinistra deve farsi portavoce del diritto democratico a un referendum sulla permanenza nell’UE – e usarlo per dimostrare che una nuova società può mantenere tutte le migliori conquiste del secolo scorso e realizzare gli obiettivi di lungo periodo di coloro che hanno lottato per ottenerle.

Left Leave: l’estrema sinistra che contrasta l’UE

L’Unione Europea viene descritta dal Left Leave (per il Lexit) come un grande comitato di affari (per il potere delle lobby nelle istituzioni europee), nemica della classe lavoratrice (perché avrebbe imposto condizioni lavorative peggiori), anti-democratica (per il potere della Commissione Europea che prevale sul Parlamento), anti-socialista (perché il Trattato di Funzionamento dell’Unione Europea promuove “un’economia di mercato altamente competitiva”) e imperialista (perché è integrata nell’alleanza militare NATO e promuove gli interessi dei monopoli capitalistici europei a danno dei paesi meno ricchi).

Un banchetto elettorale del Lexit, il brexit di sinistra

L’uscita dall’UE nelle modalità proposte dal Lexit rafforzerebbe la posizione di chi sta combattendo l’austerity, proteggerebbe il prossimo governo laburista dalle sfide di riforma imposte dalla legge europea (si pensi alla completa nazionalizzazione delle ferrovie, che sarebbe impossibile stando alle direttive comunitarie), sarebbe uno smacco alle classi dirigenti occidentali, ad esempio statunitensi, che utilizzano il Regno Unito per fare i propri interessi all’interno dell’UE, permetterebbe di dissociarsi dalla “Fortezza Europa” che si sarebbe chiusa in modo razzista di fronte alle richieste di aiuto degli immigrati e, infine, spaccherebbe a metà lo schieramento conservatore.

Per fugare ogni possibile associazione del Brexit con il nazionalismo di estrema destra, sull’assassinio della deputata laburista Jo Cox così si esprime il comitato direttivo di Lexit the Left Leave Campaign:

Siamo per l’uscita dall’UE perché la “Fortezza Europa” e la sistematica promozione di politiche di austerità hanno portato alla crescita di tali idee reazionarie . A prescindere dal risultato di questo referendum, tutta la sinistra deve unirsi contro un siffatto razzismo e deve sostenere politiche che erodano sostegno a chi utilizza le minoranze quali capri espiatori.

L'autore: Piotr Zygulski

Piotr Zygulski (Genova, 1993) è giornalista pubblicista. È autore di monografie sui pensatori post-marxisti Costanzo Preve e Gianfranco La Grassa, oltre a pubblicazioni in ambito teologico. Nel 2016 si è laureato in Economia e Commercio presso l'Università di Genova, proseguendo gli studi magistrali in Filosofia all'Università di Perugia e all'Istituto Universitario Sophia di Loppiano (FI), discutendo una tesi su una lettura trinitaria dell'attualismo di Giovanni Gentile. Attualmente è dottorando all'Istituto Universitario Sophia in Escatologia, con uno sguardo sulla teologia islamica sciita, in collaborazione con il Risalat Institute di Qom, in Iran. Dal 2016 dirige la rivista di dibattito ecclesiale Nipoti di Maritain. Interessato da sempre alla politica e ai suoi rapporti con l’economia e con la filosofia, fa parte di Termometro Politico dal 2014, specializzandosi in sistemi elettorali, modellizzazione dello spazio politico e analisi sondaggi.
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