Poste Italiane: ricorso contro rimborso buoni fruttiferi 1984, la questione

Pubblicato il 12 Marzo 2019 alle 11:22 Autore: Daniele Sforza

Continua l’eterna diatriba sul rimborso dei buoni fruttiferi di Poste Italiane degli anni Ottanta tra i risparmiatori e il Gruppo. Cosa dice la Cassazione.

Poste Italiane: ricorso contro rimborso Bfp
Poste Italiane: ricorso contro rimborso buoni fruttiferi 1984, la questione

La giurisprudenza si sta occupando molto spesso delle richieste di rimborso dei buoni fruttiferi degli anni Ottanta di Poste Italiane a favore dei risparmiatori. Tuttavia, alcune sentenze sembrano discordare tra loro e ciò fa sì che Poste possa presentare ricorso contro la richiesta e l’ordine di rimborso.

Poste Italiane: ricorso contro rimborso Bfp 1984

È ad esempio il caso di una recente sentenza del tribunale di Catania diffusa lo scorso 25 febbraio. Questa imponeva a Poste Italiane di pagare il rimborso effettivo dei Buoni fruttiferi a 30 anni sottoscritti nel 1984. La storia è la solita: il rimborso deve fare riferimento a quanto scritto sul retro dei titoli e non a modifiche avvenute successivamente.

Forte di una recente sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 3963 dell’11 febbraio 2019) Poste Italiane ha presentato ricorso contro la richiesta di rimborso. Gli ermellini avevano infatti decretato che, nell’eventualità di differenze tra le prescrizioni ministeriali e il contenuto indicato sui buoni fruttiferi, occorresse sempre far riferimento alle prime, perché prevalenti. Da qui il ricorso in appello, dal quale poi si deciderà se Poste dovrà pagare o meno il richiedente il rimborso.

Poste Italiane: buoni fruttiferi e modifica interessi, il fatto

La sentenza della Cassazione a cui Poste Italiane fa riferimento per far valere i propri diritti tratta un caso che si dipana più o meno nelle solite modalità che abbiamo imparato ad apprendere. Un risparmiatore aveva infatti acquistato dei buoni fruttiferi postali negli anni 1982 e 1983. Sul frontespizio dei buoni era indicato che i titoli erano pagabili con gli interessi maturati in base alla tabella posta sul retro. In più con una progressione degli interessi. Il risparmiatore avrebbe dovuto riscuotere quasi 72 mila euro. Ma l’ufficio postale, facendo riferimento al noto decreto ministeriale del 13 giugno 1986, lo aveva rimborsato di meno della metà. Ovvero, quasi 32 mila euro.

Poste Italiane: buoni fruttiferi, i motivi della contestazione

Il risparmiatore aveva inoltre rilevato in appello che il contratto con le società era un contratto di diritto privato, al quale aveva aderito riferendosi alle tabelle con i tassi di interesse e i piani di rimborso posti sul retro dei titoli. E soprattutto in un momento in cui la facoltà di modifica dei tassi di interesse era ipotizzabile, ma non in termini peggiorativi. Da qui il riferimento allo ius variandi, ovvero alla modifica unilaterale del contratto. Secondo il risparmiatore questa condizione doveva essere “specificamente conosciuta e approvata per iscritto e il contratto avrebbe dovuto prevedere sia la comunicazione al sottoscrittore delle eventuali variazioni sfavorevoli del tasso di interesse sia la possibilità di esercitare il diritto di recesso”. Il soggetto richiamava dunque anche i principi di legittimità costituzionale.

Poste Italiane: decreto ministeriale e informazioni sui buoni fruttiferi

La Corte aveva quindi richiamato l’orientamento della giurisprudenza di legittimità, facendo riferimento ad alcune sentenze di Cassazione (27809/2005 e 13979/2007). “I Buoni fruttiferi postali sono titoli di legittimazione e, sul loro tenore letterale, prevalgono le successive determinazioni ministeriali in tema di interessi.Cosicché le variazioni medio tempore del tasso di interesse disposte con decreti ministeriali comportano un’integrazione extratestuale del rapporto ai sensi dell’art. 1339 c.c. 9”. Non è inoltre vero che il soggetto non possa venire a conoscenza delle modifiche relative al tasso di interesse dei Bfp. La Corte d’Appello ha specificato che la messa a conoscenza avviene sotto forma di pubblicazione dei decreti ministeriali in Gazzetta Ufficiale. Nonché con la messa a disposizione delle tabelle con i nuovi tassi di interesse presso gli uffici postali.

Poste Italiane: buoni fruttiferi e variazione tassi, le norme

Rigettando quindi l’appello, la Corte ha richiamato l’articolo 173 del codice postale. Affermando che le variazioni del tasso di interesse, disposte con decreto ministeriale di concerto con quello delle Poste e Telecomunicazioni da pubblicarsi in Gazzetta Ufficiale, riguardava anche i buoni di vecchia emissione. La norma prevedeva che per tali buoni gli interessi sarebbero stati corrisposti sulla base della tabella a tergo. Ma che la stessa poteva e doveva ritenersi integrata con altra tabella messa a disposizione dei risparmiatori dagli uffici postali. E predisposta in base alle variazioni del tasso di interesse disposte con decreto ministeriale.

L’abrogazione di queste norma è stata considerata irrilevante, in quanto il DM del 19 dicembre 2000 ha specificato come “i rapporti in essere al momento dell’abrogazione dell’art. 173 del codice postale devono considerarsi regolati dalla normativa previgente”.

Poste Italiane: la decisione delle Sezioni Unite

Il contribuente che aveva presentato ricorso richiamava poi la pronuncia delle Sezioni Unite della Cassazione n. 13979/2007. Tuttavia, in quella controversia “si trattava di definire la rilevanza del tasso indicato nel fronte dei buoni fruttiferi postali in misura non conforme a quella precedentemente aggiornata dalla pubblica amministrazione con un decreto ministeriale del 1984”. E proprio in quella circostanza le Sezioni Unite avevano negato che nella discrepanza tra decreto ministeriale e le indicazioni sui buoni, prevalessero le seconde.

Poste Italiane: rimborso buoni fruttiferi, ricorso al via

Altresì infondata la contestazione sulla mancata consapevolezza dell’ipotesi di modifica peggiorativa dei tassi di interesse. Infine il risparmiatore aveva tutto il diritto, vista la struttura dei titoli, di riscuotere quanto dovuto in base alla originaria indicazione del titolo al momento della modifica. E al tempo stesso, non disinvestendo, permaneva il diritto di esercitare la possibilità di riscuotere il proprio credito. Nonché l’importo degli interessi legittimati fino alla data della variazione. In breve il risparmiatore aveva gli strumenti e i mezzi per far valere i propri diritti.

Da qui la conclusione che ha portato Poste a vincere contro il ricorrente. E a utilizzare proprio questa sentenza come precedente al fine di rafforzare la propria posizione.

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L'autore: Daniele Sforza

Romano, classe 1985. Dal 2006 scrivo per riviste, per poi orientarmi sulla redazione di testi pubblicitari per siti aziendali. Quindi lavoro come redattore SEO per alcune testate online, specializzandomi in temi quali lavoro, previdenza e attualità.
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