Riccardo Nencini (PS) a TP: “attesa per il congresso PD, ma diamo un’anima alla sinistra riformista

Pubblicato il 13 Agosto 2009 alle 09:39 Autore: Lorenzo Pregliasco

Al Parlamento europeo il Pse, seguendo gli auspici del Pd, ha dato vita all’Asde, l’alleanza dei socialisti e dei democratici. E’ una soluzione che la convince?

«Noi abbiamo contrastato questa soluzione, perché non c’era dietro un disegno politico ma soltanto la logica dei numeri. Se avessimo avuto degli eletti al Parlamento europeo avrei proposto loro di fare una domanda: “dov’è la politica? O questo è solo un cambiamento di nome?”».

I vostri eventuali deputati a Strasburgo sarebbero confluiti in questo nuovo soggetto?

«Sì, sarebbero confluiti nel gruppo e avrebbero fatto la domanda che le dicevo».

Lei ha confermato la continuazione del progetto di Sinistra e libertà. Però su molti temi esistono differenze significative tra il Ps e altri componenti come i Verdi. Penso alla politica estera, al giudizio su Tangentopoli…

«Quando si mettono assieme forze politiche che hanno una storia importante alle loro spalle è difficile trovare delle convergenze. E’ necessario fare, sui diversi temi, ciascuno una cessione di sovranità. E’ quello che stiamo provando a fare, tenendo conto che Sinistra e libertà dovrà avere un taglio riformista; diversamente non avrebbe ragione di esistere».

Alla luce del fatto che un progetto del 3%, come Sinistra e libertà, abbia questi problemi di identità non le sembra più comprensibile che analoghe difficoltà viva un soggetto dieci volte più grande, cioè il Pd?

«Più comprensibile sì, ma non lo giustifica. Non giustifica un partito che si è posto l’obiettivo di essere il partito della maggioranza degli italiani; noi abbiamo un obiettivo più modesto».

Che è quello di?

«Alle Europee, era quello di superare lo sbarramento del 4%. Oggi è quello di dare un’anima alla sinistra riformista in Italia».

Dal ‘93 in poi i socialisti italiani hanno sempre vissuto un po’ all’ombra della figura di Craxi. Non crede che sia giunto il momento di fare i conti con questa figura, riconoscendone i meriti politici e i limiti (non solo penali)?

«Sono stato l’ultimo parlamentare europeo che è andato a trovare Bettino Craxi in Tunisia. Non rinnego quella storia, anzi è una bella storia della sinistra italiana e dell’Italia del Novecento. Noi dobbiamo prendere soprattutto un segno, che fu il segno distintivo dell’azione di Craxi: l’innovazione. La sinistra italiana ha bisogno di innovazione, e da lì possiamo prendere gli stimoli giusti».

Resta il fatto che, dopo quasi cento anni di storia, il Psi è morto proprio sotto Craxi.

«Questo getta ombre sul suo operato politico, perché dopo la caduta del Muro di Berlino anche lui commise degli errori. Questo è il punto, che precede Tangentopoli».

L’aspetto giudiziario del percorso di Craxi va ignorato, rimosso, superato? Qual è l’atteggiamento che si deve avere di fronte a una verità accertata giudiziariamente?

«Rimane ancora attiva una domanda, quella che Craxi fece al Parlamento italiano nel ‘92 e nel ‘93. E cioè: quali e quante fossero le responsabilità, e come avvenisse collettivamente il finanziamento ai partiti. Queste sono due domande cui la giustizia italiana ha già dato una risposta, la politica no».

Traducendo: se tutti erano disonesti, se tutti si finanziavano illecitamente, allora nessuno era responsabile.

«Le cito una pagina di un libro dello storico Luciano Cafagna, “La grande slavina”. Cafagna dice: tutto ciò che era stato consentito fino a un certo giorno da un certo giorno in poi venne ritenuto illegale».

In realtà era illegale da molto tempo.

«Sì, ma era stato ritenuto consentito. La domanda è: chi rientra in questo paradosso di Cafagna? Questa è la domanda che fece Craxi al Parlamento nel ‘93 e a cui la politica deve dare una risposta. Se vedo tutte le statistiche europee sul livello di corruzione in Italia, si potrebbe dire che la politica italiana abbia già dato una risposta. Anche dopo Tangentopoli l’Italia resta ai vertici di quelle graduatorie».

Secondo lei, in un certo senso c’è una continuità Craxi-Berlusconi? Dopotutto Craxi fu, per anni, il principale referente politico del Cavaliere.

«Questo non è vero, storicamente non è vero».

Il decreto salva-televisioni del 1985, i 21 miliardi di tangenti per cui Berlusconi fu poi prescritto, Craxi fu persino testimone di nozze del Cavaliere nel 1990. Non proprio uno sconosciuto.

«Berlusconi, per sua stessa ammissione, aveva anche nella Dc dei referenti molto precisi, o nei repubblicani. L’assioma Craxi uguale Berlusconi, se mi permette, è molto elementare. La verità è che quando Berlusconi scende in campo Craxi lo critica, a partire dalle elezioni romane, quando l’uno sosteneva Fini e l’altro Rutelli. E da lì in poi è un crescendo. Che poi ci siano stati buoni rapporti con l’imprenditore è un altro discorso».

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L'autore: Lorenzo Pregliasco