Se rimpiangiamo Craxi, perché creiamo un clima infame ogni giorno?

Pubblicato il 17 Gennaio 2020 alle 15:42 Autore: Nicolò Zuliani

Rimpiangere Craxi non è compatibile con i linciaggi online.

Se rimpiangiamo Craxi, perché creiamo un clima infame ogni giorno?

Con il film Hammamet è tornata alla ribalta la figura di Craxi, politico-simbolo dell’Italia degli anni ’80. Alcuni tentano di rivalutarlo dicendo che era un grande statista, altri si limitano a dire che era un gigante rispetto ai politici di oggi – secondo il principio italiano che l’unico X buono è un X morto – altri ancora si ostinano a reputarlo un corrotto, un ladro e altri slogan vintage.

Quando scrivevo articoli sugli anni di piombo e sulla guerra fredda sono incappato spesso in Bettino. L’ho ascoltato parlare, visto le sue interviste, i processi, i diari da Hammamet. Era un uomo dotato di un enorme carisma e con un eloquio strabiliante.

Per quanto riguarda lo statista, non saprei: non era un Berlinguer, un Fanfani, un Pertini o un Moro. Anzi, all’epoca era visto come un cafone che si presentava in jeans al quirinale, le sue foto al mare fecero scandalo e il PSI venne ferocemente criticato per essere un circo invece di un partito.

Forse rimpiangiamo la nostra infanzia, e Craxi è il nuovo Winner Taco

È molto difficile essere obiettivi quando si è nel mezzo delle cose, figurarsi a distanza di così tanti anni. Il cervello, si sa, rimuove tutte le parti sgradevoli dei ricordi. Se poi sei un bambino o un adolescente nemmeno ti accorgi dell’inflazione alle stelle, degli attentati terroristici, delle gambizzazioni, del farsi la croce prima di salire in aereo o in treno.

Di sicuro vediamo una differenza enorme nella retorica e nell’estetica tra la prima e la (terza? Quarta?) Repubblica. Però ci dimentichiamo che siamo stati noi a volerla abbattere. Quella frase che si sente nei bar, il sempiterno “il mondo l’hanno rovinato quelli in giacca e cravatta”, è figlia di Di Pietro, l’umile magistrato di provincia, che sfida il gigante. Mentre Berlusconi sfruttava la coda lunga dello yuppismo sono arrivate le canottiere di Bossi – che col tricolore si puliva il culo – poi il turpiloquio di Grillo, il giustizialismo medioevale della piazza di Raiperunanotte, la Taverna che si rifiuta di stringere mani.

Abbiamo impiegato meno di una generazione per scendere in fondo e oggi, forse, c’è qualche timido segnale di risalita almeno nel parlar civile nelle istituzioni.

Ma ormai il danno è fatto, ed è più profondo di quanto si vede

A me fa ridere l’indignazione davanti a “gli italiani vogliono una figura forte al potere”: cosa dovrebbero volere, uno debole? Le persone si esprimono in base all’ambiente in cui stanno, agli interlocutori, alla cultura di partenza e a quella acquisita. Al Grande fratello, Salvo parlava di una tizia facendo iperboli e paragoni da macellaio non perché è un serial killer, ma perché sprovvisto degli strumenti culturali necessari a esprimere le proprie pulsioni sessuali; e non in maniera “politicamente corretta”, bensì diversa da chi ha una cultura più strutturata.

Solo che nella prima Repubblica cercava di elevarsi, oggi da un lato restare abbrutiti è uno status symbol e dall’altro… bè, dall’altro chi la cultura ce l’ha preferisce usarla per umiliare chi ne è sprovvisto. Abbiamo milioni di esempi di Influencer che pescano l’account Facebook di un analfabeta a caso e lo fanno lapidare. Una volta c’era “Non è mai troppo tardi”, oggi c’è la gogna del giorno. Se non c’è si inventa o ci si accontenta di pescare gente in grado di difendersi, tipo Amedeus.

E questa gente rimpiangerebbe Craxi e la dialettica della Prima Repubblica?

Nelle periferie, nei taxi, nei bar sport dove il 99% di quelli che si autoproclamano “fascisti” non hanno la più pallida idea di che cazzo stanno dicendo; vogliono solo avere attenzione, far passare un concetto che nella maggioranza dei casi è “sono un duro e puro”. La stessa cosa che si vede sui social e negli articoli indignati; stesso concetto ma parole più articolate, pensieri più sfumati, sigle e meme di moda per compiacere una comunità differente. Più leggo le indignatio lavandaiae, più mi rendo conto che i casi sono due: o gli opinionisti VOGLIONO evitare di tenere conto il gap culturale per poter fare la solita filippica contro il F.O.R.S.E. strisciante, oppure credono davvero un falegname di Mestre usi e pesi le parole allo stesso modo di un laureato in lettere antiche.

In ogni caso, dall’ignoranza ostentata alla cultura usata come manganello, la retorica e i politici della Prima Repubblica li abbiamo distrutti noi, e finché continueremo con i “non capisci un cazzo” non la rivedremo mai.

L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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