Le possibili strategie di Bersani

Pubblicato il 13 Febbraio 2010 alle 11:03 Autore: Giuseppe Mule

In questo altalenante gioco delle parti, tra ventate di liberismo e ortodossia europeista, il segretario del Pd parte avvantaggiato rispetto ai vecchi big del centrosinistra nell’affrontare il compito. Mentre le leadership di D’Alema e di Veltroni si contrapponevano a quella di Berlusconi con la forza di una leadership equivalente, tutta centrata sull’umoralità e sul carisma, senza riuscire a contrastarla, Bersani rivendica con orgoglio la sua lunga storia di amministratore. Il carisma inteso come arma vincente nei confronti degli elettori non fa parte delle sue corde. Un po’ come Prodi, che non a caso nel 1996 lo chiamò con sé a Palazzo Chigi, allontanandolo dall’incarico di Presidente della Regione Emilia Romagna.

Per molti l’uomo di Bettola rappresenta il ministro delle lenzuolate di liberalizzazioni che nella breve stagione dell’Unione segnarono i giorni più popolari del governo. Il suo essere un uomo del Nord, l’apprendistato politico in terra rossa eppure patria del buongoverno (almeno fino ai recenti scandali della giunta Delbono), gli incarichi in dicasteri tecnici come l’Industria e i Trasporti sono punti che lo qualificano come politico pragmatico e competente.

Bersani ha tutte le carte in regola per lanciare al governo in campagna elettorale una sfida che parta dall’esame delle condizioni economiche del Paese, oltre che disegnare proposte-spot nella cartellonistica per le strade. In questo modo, una strategia che finora è rimasta limitata alle alleanze sarebbe capace di parlare concretamente ai cittadini, aprendosi a quelle categorie – operai e ceti produttivi del nord – che negli ultimi anni hanno scelto Pdl e Lega.

A poco più di sei settimane dal voto, è ragionevole pensare che nessuno farà cappotto. Eppure, a conferma del notevole significato che le elezioni regionali ricoprono sul governo in carica, è bene ricordare che nel 2005 si andava al voto dopo quattro anni di governo in cui i conflitti interni da un lato fra Fini e Tremonti e dall’altro fra Follini e Berlusconi avevano logorato il fronte del centrodestra. Berlusconi fu costretto dalle “spine nel fianco” della maggioranza a salire al Quirinale e formare un nuovo governo, dopo la sconfitta 12 a 2. D’Alema cinque anni prima si era dimesso dopo aver perso 8 a 7.

Quando i risultati saranno chiari, per il Popolo della libertà l’incognita principale sarà rappresentata dal rafforzamento delle pretese padronali di Berlusconi, anche rispetto ai suoi avversari interni. Il Pd, invece, vuole scongiurare il rischio che questa volta le ripercussioni del voto ricadano per intero sul fronte dell’opposizione. Tra parentesi, Veltroni rassegnò il suo incarico di segretario del Pd dopo la sconfitta di Soru in Sardegna proprio un anno fa.

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