La storia di Andrea – La paura

Pubblicato il 18 Marzo 2020 alle 18:35
Aggiornato il: 23 Marzo 2020 alle 12:30
Autore: Nicolò Zuliani

Quando senti di essere un leone in gabbia e cerchi il tuo posto nel mondo, ma il mondo ha altri piani.

La storia di Andrea – La paura


Ciclo della paura: – – – – – –

Elettra, sulla bergere, questa volta indossa solo un paio di pantaloni di stoffa larghi. La collana di perle finte le penzola tra i seni piccoli, ci giocherella guardando le giunture in controluce. La abbassa di scatto e si volta verso l’angolo buio del salotto: «Oggi racconterà la storia la nostra presenza maschile silenziosa» gongola.
«Ma iperattiva, altrove» commenta Francesca, scambiandosi un’occhiata con Gaia. Tutti si voltano verso l’angolo. Ne esce un uomo sulla quarantina che sta finendo di masticare qualcosa, il volto sbarbato e occhi verdi grandi, capelli a spazzola cortissima, labbra sottili del ragazzino timido fin dalle medie. La corporatura irrilevante di un peso forma senza fatica.

«Immaginavo sarebbe toccato a me» si schernisce lui.
«Oddìo, non so nemmeno come ti chiami» sbarra gli occhi Elettra «E dire che di sopra…»
«Andrea.»
«Ecco, Andrea. Raccontaci una storia sulla paura.»

«C’era una volta un ragazzo veneto sui vent’anni, ed è un fallito. Quando lo dice alla psicologa o agli amici dell’università gli rispondono no, aspetta, troverai la tua strada. Certo, certo. Quando ha scelto la facoltà puntava in alto perché voleva dimostrare ai suoi di essere meglio di loro. Ma l’università è roba per chi non ha voglia di lavorare, lo diciamo? È un leone in gabbia, gli parlano di esami, libri, lui è nato per fare altro, lo sa, ma non sa ancora cosa. I suoi coetanei si laureano, prendono specialistiche, master, doppie lauree e quelle balle lì, e cominciano a essere più piccoli di lui.

Si costruiscono carrierine, comprano casette, macchinine, viaggiano, si sposano, fanno figli. Lui smette di dare esami perché sono una perdita di tempo e francamente è umiliante stare in mezzo a ‘sti ragazzini scemi. È lì che gli nasce l’ansia sociale. Stare in mezzo ai mediocri lo terrorizza.

Lascia l’università, perché SA che la sua strada è lì fuori.

Trova lavoro in un pub, a chiamata, pagano due soldi e sta in mezzo ad animali che nemmeno hanno la terza media. Lui merita un posto di un certo livello, invece sta lì a spazzare scarafaggi morti per l’ammoniaca che ha dato la sera prima. Torna a vivere dai suoi perché stare in un appartamentino tra terroncelli e punkabbestia non è davvero il caso. Certi giorni nemmeno si alza dal letto da tanto è depresso, così lo licenziano anche dal pub.

Si trova a trentasei anni disoccupato, senza un soldo, sulle spalle dei suoi. Non ha vacanze, non ha vestiti, non ha distrazioni, non ha donne perché come qui insegnate, costano. Non esce, spende quel poco che ha in visite mediche perché è diventato ipocondriaco, tra psicologa, psicofarmaci, cosa deve fare? Uno come lui in mezzo a gente del genere per forza va in paranoia. È come mettere un leone in un acquario, mi spiego? Uno come lui, in ‘sto paese, non può farcela.

Allora decide di rifarsi una vita a Londra.

Ma in aeroporto ha paura di fallire, ha mille ripensamenti, non se la sente, si dice che dopotutto lì finirebbe di nuovo in mezzo a sguatteri e pizzaioli, è una follia, i suoi non gli hanno dato abbastanza soldi per avere una vera partenza. Così sta lì a guardare l’aereo partire assieme ai soldi del biglietto. Cosa deve fare per avere una possibilità concreta? Manda tutti a quel paese e se ne va a Nizza, ad arruolarsi nella Legione straniera.

Alle selezioni lo prendono, ma siccome non è capace di fare robe da intellettuali tipo mappe, rapporti, lo mettono in mezzo alle bestie. Marocchini, slavi, somali. Nella prima settimana di addestramento lo violentano e un bosniaco lo riduce in fin di vita a furia di botte. In ospedale lui capisce che anche lì non è la sua strada, ma la paura non c’è più. Niente psicofarmaci, niente psicologa, niente ipocondria.

È libero.
Torna a casa e prende il posto che gli spetta, a capo dell’azienda di famiglia.

Per qualche tempo le cose vanno bene. Ha un Q8, va in discoteca, conosce gente, ha una fidanzata e un conto corrente di tutto rispetto. Scopre che era quello il suo posto fin dall’inizio. L’azienda però comincia ad arretrare per colpa delle tasse, perché ‘sto paese vive per mantenere il sud e gli statali, non chi vuol fare impresa. Gli tocca fare debiti per pagare i fornitori, l’azienda entra in crisi e deve tagliare gli stipendi. Però gli operai s’incazzano perché lui il suo non se l’è ridotto e han la bella idea di scioperare. Allora tocca dichiarare fallimento, perché è l’unico modo per liberarsi di certa gente.

Per fortuna buona parte delle proprietà sono intestate alla moglie, quindi non sono pignorabili.

Ma dovete capire che per uno come il mio protagonista, questa roba è una galera. Ha bisogno di sfogare la tensione così fa qualche giro nei bordelli della Svizzera, dicendo a sua moglie che sta andando a trovare altre aziende con cui fare partnership. Solo che all’improvviso arriva la quarantena e lei sta telefonando alle aziende per capire dov’è il marito, gli telefona dieci volte al giorno, e lui non può uscire né dire la verità.»

«prrrfnORkfz» fa Francesca, coprendosi la bocca e tenendo gli occhi bassi.
Clelia, a testa bassa, stringe gli occhi e si morde le labbra. Gaia tossisce a sussulti, girata verso le scale. Consuelo si succhia l’incavo delle guance e fissa un punto indefinito sulla parete, rossa in viso. Elettra tiene la faccia nel cuscino e colpisce il pavimento con i calcagni, seni e collana che sussultano.

«Che c’è?» domanda Andrea «Non è una storia divertente.»
«No, no» ansima Francesca, protendendo la mano verso di lui «è-è solo che…»
«Hahaha che imbecille» ride Guido.
Il salotto esplode.

Andrea resta immobile, paonazzo, mentre il salotto rimbomba di un coro di risate che non sentiva da molto tempo. Xeni si fa largo tra le ragazze con un vassoio d’argento, schiva di poco una gamba avvolta in una fishnet, s’inginocchia davanti a lui con le sopracciglia inclinate e un sorriso dolce:

«Ti ho fatto un Widow’s kiss, Andrea. Un drink magistrale, come sapevano inventarsi solo alla fine dell’800. Profondo, dolce, vellutato e letale. Brandy europeo come base, Chartreuse verde come benzina stemperata dalle erbe del Benedictine e aromatizzato da un bitter agli agrumi. Un capolavoro. Ti porterà in fretta dove hai bisogno di essere in questo momento, ma stà attento: è traditore di natura. Per voi scimmie urlatrici, invece» dice Xeni, alzandosi in mezzo alla confusione. Perlustra la sala con le mani sui fianchi, scuote la testa: «A voi faccio un Tom Collins e buonanotte.»

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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