Trump non ha detto di iniettarsi disinfettante, è questo il problema

Pubblicato il 27 Aprile 2020 alle 14:06 Autore: Nicolò Zuliani

Non ci riguarda da vicino la notizia in sé, ma il modo in cui è stata trattata e metabolizzata in Italia dai media.

Trump non ha detto di iniettarsi disinfettante, è questo il problema

Siccome quando si tratta del presidente degli Stati Uniti ogni cosa fa brodo, nei giorni scorsi è stata strombazzata la notizia che Trump avrebbe suggerito di fare iniezioni di disinfettante ai malati di Covid19. L’ha raccontata Adnkronos, ANSA, AGI, Il Messaggero, Il Corriere e, naturalmente, Il Fatto quotidiano. Il massimo, però, è stato Il Post; si è preso la briga di tradurre il discorso di Trump che infatti non dice niente del genere. Eppure, siccome il cuore vede più degli occhi, titolano: “Trump vuole iniettare il disinfettante ai malati per sconfiggere il coronavirus”.

Sì?
E dove?

Persino il giornale dei 30,000 curriculum ha dovuto ammettere che no, Trump non ha mai detto una cosa simile. Fioccano smentite? Macché. Anzi, ha fatto molto ridere il video di Brad Pitt che imita il dottor Fauci e nel farlo monta spezzoni tagliati ad hoc, così da corroborare – e cavalcare – questa perla. E chi vorrebbe contraddire o mettersi contro Brad Pitt? Dopotutto ha decapitato la statua di Apollo con un solo colpo di spada.

«Vabbè, ma è Trump»

Quante volte abbiamo sentito questa frase nei bar, alle cene, tra amici, o nei commenti a qualche articolo? “Vabbè, ma è Trump” sottintende quindi se anche questa non è vera non importa, lo sarà un’altra. Questo meccanismo mentale crea due problemi: il primo è che se ci soffermiamo a riflettere su qualcosa o qualcuno, il nostro cervello fa una rapida somma dei dati che abbiamo sull’argomento senza ricordare di preciso cosa sia vero o cosa no: ha solo quell’elenco di notizie.

Il secondo problema arriva qui, cioè quando le nostre valutazioni “di pancia” poggiano le fondamenta su pietre che a volte sono vere, altre volte sono polistirolo dipinto – detto fake news, o bufale, o cazzate. Ma noi ci costruiamo sopra lo stesso. E quando la casa crolla, invece di migliorare le fondamenta, preferiamo dar colpe a destra e a manca.

Non che a me di Trump interessi qualcosa, m’interessa il meccanismo che s’è formato e consolidato.

Il problema di scrivere queste idiozie – o far clickbaiting – è che una vasta fetta di popolazione, bombardata da stimoli audiovisivi, legge solo i titoli. Per questo vengono derisi e condannati dal termine “analfabeti funzionali” e non meritano alcuna pietà – per la folla la meritano sono le bestie, per ovvie similitudini – ma anche se potrebbe sembrare un’affermazione sconvolgente, i giornali erano nati per parlare proprio alle persone comuni. Quelle che non sapevano o non capivano le cose, e si fidavano di noi giornalisti perché eravamo dalla loro parte e c’interessava raccontargli fatti e/o tradurre storie complesse in parole semplici.

Poi ci siamo montati la testa, ci siamo arrogati il diritto di manipolarli perché non andavano più informati, ma anche istruiti. Poi solo istruiti. Poi indottrinati. Per qualche tempo è andato bene, poi si sono accorti del trucchetto e si sono leggerissimamente incazzati. Le persone che scoprono di essere state fregate tendono ad andare dalla parte opposta verso la quale venivano spinte. E questa cosa è così dura, così indigesta, così fastidiosa da ammettere che i vertici del giornalismo continuano a negarla.

Ecco perché una volta ci rispettavano, ci chiamavano per un aiuto o per farsi difendere, adesso gli unici che chiamano sono Striscia la Notizia, le Jene o si sfogano su Facebook, ci detestano, non comprano e sono felici se i giornali chiudono. Il pubblico è il mutante generato dalle siringhe di veleno che gli abbiamo somministrato ogni giorno, una fake news (a cui non è seguita smentita) dopo l’altra.

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L'autore: Nicolò Zuliani

Veneziano, vivo a Milano. Ho scritto su Men's Health, GQ.it, Cosmopolitan, The Vision. Mi piacciono le giacche di tweed.
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