C’è immunità e immunità

Pubblicato il 28 Febbraio 2011 alle 23:34 Autore: Matteo Patané

Il secondo ed il terzo comma si occupano invece dell’immunità parlamentare vera e propria, quella processuale. Salvo il caso della flagranza di reato, un parlamentare non poteva essere imputato, perquisito o arrestato a meno di un’autorizzazione votata dalla Camera di appartenenza.
L’autorizzazione a procedere di fatto però consentiva un’estensione arbitraria del diritto all’insindacabilità, dal momento che il Parlamento negli anni arrivò ad abusare di questa opportunità, rifiutando sistematicamente le autorizzazioni a procedere tacciandole come interferenze del potere giudiziario in quello legislativo.

Questo fino alla rivolta popolare seguita allo scoppio di Mani Pulite e all’enormità del rifiuto opposto dalla Camera alle istanze della magistratura nel caso di Bettino Craxi.

La versione attuale dell’articolo 68 della Costituzione, valida dal 1993, afferma invece:

I membri del Parlamento non possono essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle loro funzioni.
Senza autorizzazione della Camera alla quale appartiene, nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a perquisizione personale o domiciliare, né può essere arrestato o altrimenti privato della libertà personale, o mantenuto in detenzione, salvo che in esecuzione di una sentenza irrevocabile di condanna, ovvero se sia colto nell’atto di commettere un delitto per il quale è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza.
Analoga autorizzazione è richiesta per sottoporre i membri del Parlamento ad intercettazione, in qualsiasi forma, di conversazioni o comunicazioni e a sequestro di corrispondenza.

Come si evince dal primo comma, il diritto all’insindacabilità è stato addirittura rafforzato dalla modifica: il passaggio da “non possono essere perseguiti” a “non possono essere chiamati a rispondere” di fatto generalizza ed estende la guarentigia di cui godono i parlamentari, laddove la prima formulazione poteva essere interpretata come una restrizione all’area prettamente penalistica.

Le vere modifiche all’articolo si trovano però al secondo ed al terzo comma. L’immunità processuale, come si può vedere, non è stata soppressa, ma edulcorata. Scompare la formula “nessun membro del Parlamento può essere sottoposto a procedimento penale”, quindi attualmente i parlamentari possono essere sottoposti a processo anche senza autorizzazione della Camera di appartenenza, ma tali autorizzazioni permangono per molte attività accessorie vitali in fase di raccolta prove come perquisizioni o intercettazioni.

In realtà, è importante osservare come tramite legge ordinaria alcune parti dell’immunità parlamentare siano state via via ricostituite nel tempo: l’esempio forse più significativo è il Decreto Legge 535 dell’8 settembre 1994 – poi decaduto – toglieva al giudice, per metterlo nelle mani delle Camere, il potere di stabilire quali fatti ricadessero o meno sotto l’ombrello dell’insindacabilità, lasciando al potere giudiziario solo la possibilità di sollevare un conflitto di attribuzioni alla Consulta.
Altrettanto importante, nel febbraio 1996, fu l’estensione della necessità dell’autorizzazione a procedere anche per l’utilizzo in sede processuale delle intercettazioni indirette, ovvero delle parole dei parlamentari emerse casualmente durante le inercettazioni di altre utenze.

Malgrado questo, la modifica principale all’articolo 68 della Costituzione regge: un parlamentare è oggi processabile in maniera analoga a quella di un qualsiasi altro cittadino.
Ed è proprio questo punto che il Governo vuole cambiare, per tornare al passato. Per impedire che un parlamentare, purché coperto da una solida maggioranza in Aula, possa essere processato per tutta la durata della sua vita politica.

Un ritorno al passato incomprensibile sotto il profilo della necessità giuridica, una riforma inutile in un Paese dove le priorità, restando in tema di giustizia, dovrebbero essere invece la durata dei processi unita alla certezza della sentenza e dell’applicazione della pena.
Ma sempre più le necessità e le priorità dell’Italia sono diventate coincidenti con quelle del cittadino Silvio Berlusconi, e le scadenze che attendono il premier nel 2011 (processi Mills, Mediatrade e Rubygate) lasciano pochi dubbi su quale possa essere il reale fuoco che anima la furia riformatrice del Governo.

Matteo Patané

(Blog dell’autore: Città Democratica)

Per commentare su questo argomento clicca qui!

L'autore: Matteo Patané

Nato nel 1982 ad Acqui Terme (AL), ha vissuto a Nizza Monferrato (AT) fino ai diciotto anni, quando si è trasferito a Torino per frequentare il Politecnico. Laureato nel 2007 in Ingegneria Telematica lavora a Torino come consulente informatico. Tra i suoi hobby spiccano il ciclismo e la lettura, oltre naturalmente all'analisi politica. Il suo blog personale è Città democratica.
Tutti gli articoli di Matteo Patané →