Dimissioni giusta causa: ecco a che cosa il lavoratore ha diritto

Pubblicato il 16 Ottobre 2020 alle 12:19 Autore: Claudio Garau
Fumo a lavoro si può essere licenziati per questo La Cassazione sul tema

Dimissioni giusta causa: ecco a che cosa il lavoratore ha diritto

Non solo il datore di lavoro può tutelarsi contro comportamenti del lavoratore che contrastano con le pattuizioni di cui al contratto di lavoro: anche il lavoratore, infatti, può contare su un insieme di norme che lo proteggono contro comportamenti intollerabili, da parte del datore di lavoro. D’altronde, la legge vigente tutela ambo i contraenti e, dunque, è interessante capire di seguito come funzionano le dimissioni giusta causa, azionate dal dipendente. In particolare: in queste circostanze, il lavoratore può lasciare il posto di lavoro e recedere dal contratto, senza rispettare il noto periodo di preavviso? inoltre, è possibile comunque aver diritto ad un qualche trattamento di disoccupazione? Scopriamolo.

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Dimissioni giusta causa del lavoratore: il contesto di riferimento

Abbiamo già affrontato, in diverse altre pubblicazioni, vari aspetti del rapporto di lavoro ed abbiamo già chiarito che la legge prevede che le parti del citato rapporto sono assolutamente libere di recedere dal contratto, ovvero di interrompere l’esperienza con un certo lavoratore o presso un determinato luogo di lavoro. Si tratta del cd. principio di libertà negoziale, che vale anche in materia di contratti di lavoro. Esercitare il diritto di recesso significa dimettersi, se è detto diritto è azionato dal dipendente, oppure significa licenziare, se è azionato dall’azienda.

In generale, però, le norme del diritto del lavoro prevedono anche che le parti debbano rispettare il cosiddetto periodo di preavviso di recesso, incluso e disciplinato dal CCNL di riferimento. Ricordiamo sinteticamente che il periodo in oggetto consiste in quel lasso di tempo che deve intercorrere tra la comunicazione delle dimissioni (o del licenziamento) e la cessazione effettiva del contratto di lavoro. Esso è mirato a tutelare la parte che, di fatto, subisce l’interruzione del rapporto di lavoro, e serve dunque a “attenuare le conseguenze pregiudizievoli dell’improvvisa cessazione del rapporto” medesimo, come ha avuto modo di precisare proprio la Corte di Cassazione.

Il preavviso di recesso da parte del lavoratore è utile al datore di lavoro per provvedere all’assunzione di un nuovo lavoratore, da inserire quanto prima nell’organizzazione aziendale al posto di colui che si dimette.

Va rimarcato che, in generale, il dipendente può dimettersi liberamente e senza dunque dover indicare una motivazione che giustifichi la scelta di andare via. Deve però rispettare il periodo di preavviso, così come stabilito dall’art. 2118 Codice Civile: “Ciascuno dei contraenti puo’ recedere dal contratto di lavoro a tempo indeterminato, dando il preavviso nel termine e nei modi stabiliti dalle norme corporative, dagli usi o secondo equita‘”.

Il citato onere non vale tuttavia in caso di dimissioni per giusta causa, giacchè la scelta di abbandonare il posto di lavoro è dipesa da un grave comportamento inadempiente da parte del datore: in queste circostanze, il lavoratore è insomma “manlevato” dal dover dare preavviso. Ecco perchè dette dimissioni sono anche dette “dimissioni in tronco”.

Perchè far valere la giusta causa?

A questo punto, è intuibile che le dimissioni per giusta causa non dipendono da una esclusiva scelta di volontà del lavoratore, ma piuttosto dipendono da un comportamento del datore, che nulla a che fare con quello del dipendente o con le sue performance sul luogo di lavoro.

In buona sostanza, la legge e i CCNL intendono tutelare il lavoratore attraverso le norme sulle dimissioni giusta causa, poichè l’azienda ha concretizzato gesti e comportamenti così gravi e così lesivi, da rendere impossibile e intollerabile la prosecuzione della prestazione professionale. del dipendente, ovvero lo svolgimento delle sue mansioni. Viene meno insomma quel rapporto di fiducia che è a fondamento di ogni contratto e rapporto di lavoro.

Ecco dunque che il lavoratore può esercitare il diritto di dimissioni giusta causa, così come indicato dall’art. 2119 Codice Civile, intitolato “Recesso per giusta causa“: “Ciascuno dei contraenti puo’ recedere dal contratto prima della scadenza del termine, se il contratto e’ a tempo determinato, o senza preavviso, se il contratto e’ a tempo indeterminato, qualora si verifichi una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del rapporto“.

Come risulta dalla lettura dell’articolo, le dimissioni giusta causa non trovano però nella legge vigente una dettagliata indicazione dei comportamenti e delle azioni datoriali, che di fatto sono alla base di dette dimissioni.

E’ stata dunque ancora una volta la giurisprudenza, ed in primis quella della Corte di Cassazione, a dare un significativo contributo in proposito e ad inquadrare vari casi concreti in cui le dimissioni giusta causa sono legittime e conformi al dettato delle norme. Vediamo allora in sintesi quali sono le principali ipotesi inquadrate dai giudici, ovvero quando le dimissioni in tronco sono azionabili senza indugio:

  • fatti di demansionamento o di mobbing sul luogo di lavoro;
  • eccessive modifiche delle condizioni di lavoro a seguito di una cessione di azienda o di un ramo della stessa;
  • essere trasferito in altra sede aziendale, senza la giustificazione prevista dalla legge;
  • aver subito ingiurie da parte del datore di lavoro o da altro superiore;
  • mancato pagamento dello stipendio mensile;
  • casi di molestie sessuali da parte del datore di lavoro o colleghi.

Cosa comportano le dimissioni in tronco?

Chiarito che il diritto del lavoro ammette che il lavoratore si dimetta per giusta causa e senza preavviso, andandosene quanto prima dall’azienda, dobbiamo ora capire cosa succede dopo.

Ebbene, oltre alla tutela rappresentata dall’assenza dell’obbligo di preavviso, l’ormai ex-dipendente potrà contare sull‘indennità sostitutiva del preavviso, come se fosse stato il datore di lavoro a licenziarlo. Detta indennità sarà dovuta dal datore di lavoro, in base a quanto previsto dall’articolo 2119 c.c.: “Al prestatore di lavoro che recede per giusta causa compete l’indennita’”, ma anche dallo stesso art. 2118, il quale specifica che si tratta di “indennita’ equivalente all’importo della retribuzione che sarebbe spettata per il periodo di preavviso“. Si ribalta insomma l’obbligo di versamento dell’indennità: pur essendo stato il lavoratore ad andarsene, è l’azienda che deve versare detta somma.

Ma non solo: l’ex-dipendente che esercita il diritto alle dimissioni giusta causa può anche domandare ed ottenere la cd. indennità di disoccupazione Naspi all’Inps, se sussistono i requisiti previsti per prestazione economica, così come indicato sull’apposita pagina web dell’Istituto.

Per completezza, dobbiamo altresì ricordare che il celere iter di dimissioni giusta causa non elimina l’obbligo, gravante sul lavoratore, di rispettare la procedura di dimissioni telematiche sul web, prevista al fine di fare luce sul rapporto di lavoro ed evitare le dimissioni in bianco (ne abbiamo già parlato qui).

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Concludendo, è pur vero che il datore di lavoro potrebbe non accettare le dimissioni giusta causa, opponendosi e contestando dunque la sussistenza del motivo alla base della scelta del lavoratore. E, in questi casi, potrebbe certamente non versare quanto spettante al dipendente, a titolo di indennità: non resta allora che affidarsi al tribunale ed al provvedimento del giudice del lavoro, in modo da fare luce sulla legittimità delle dimissioni giusta causa.

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L'autore: Claudio Garau

Laureato in Legge presso l'Università degli Studi di Genova e con un background nel settore legale di vari enti e realtà locali. Ha altresì conseguito la qualifica di conciliatore civile. Esperto di tematiche giuridiche legate all'attualità, cura l'area Diritto per Termometro Politico.
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