Il fallimento del Cop15 ed i nuovi equilibri mondiali

Pubblicato il 25 Dicembre 2009 alle 22:00 Autore: Redazione
acqua

Gli Stati Uniti sono secondi solo all’Australia in termini di emissioni pro capite (rispettivamente 20,5 e 19,78 tonnellate di CO2 all’anno) e sono tra i primi responsabili della CO2 già immessa nell’atmosfera. Nonostante tutto questo non hanno ancora assunto impegni vincolanti in materia; addirittura durante l’era Bush c’era un’ostilità manifesta al Protocollo di Kyoto. L’era Obama si è subito caratterizzata per aver messo la sicurezza energetica ed i problemi ambientali tra le priorità del proprio operato ma, nonostante questo, nulla di concreto è stato ancora fatto. Di converso i paesi le cui economie stanno registrando una rapida e sostanziosa crescita anche in questo periodo di non facile congiuntura economica (Cina, India, Unione Africana in particolare) hanno mostrato un interesse al tema, purché però questo non comporti un rallentamento della loro crescita economica. Per esempio la Cina (dove le emissioni sono aumentate del 120% dall’inizio del decennio) ha annunciato di voler ridurre del 40–45% entro il 2020 l’ammontare di biossido di carbonio emesso per unità di PIL rispetto ai livelli del 2005 e per ottenere questo obiettivo vorrebbe portare la propria quota di energie rinnovabili nel mix energetico nazionale al 15% entro il 2020. Mentre l’India rimane orientata a non adottare impegni internazionali vincolanti. Recentemente il ministro dell’Ambiente Jairam Ramesh ha affermato che «gli obiettivi internazionali vincolanti sono e rimangono unicamente per i paesi industrializzati».

Ecco perché è lecito chiedersi se l’appuntamento di Città del Messico del 2010 serva realmente a qualcosa e, soprattutto, se fosse immaginabile una conclusione diversa per il vertice di Copenaghen.  Sembra, con le dovute differenze, di rivivere l’aria che si respirava a Versailles nel 1789. All’epoca il Primo Stato (il clero) assieme al Secondo (la nobiltà) rappresentavano solo il 2% della popolazione francese mentre il Terzo Stato, teoricamente, rappresentava il restante 98%. Di fronte all’incapacità di gestire la pesantissima crisi economica che attanagliava la Francia, la nobiltà ed il clero chiesero alla borghesia emergente (il Terzo Stato) di cooperare alla soluzione dei problemi, disegnando in questo modo un nuovo assetto di poteri. Per questo motivo molti nella classe emergente videro la convocazione degli Stati Generali come una possibilità di guadagnare potere. Allo stesso modo (fatte salve le specificità dei due diversi contesti storici) quello che è avvenuto al Cop15 è il venire alla luce di un nuovo equilibrio internazionale dove il peso ed il condizionamento dei paesi emergenti –chiamati a farsi carico di una situazione ambientale che in gran parte non hanno causato- diventa sempre più forte e vincolante. E la descrizione delle ultime ore convulse di trattative per salvare Copenaghen dal fiasco totale, che hanno visto Obama rincorrere il primo ministro cinese Wen e marcare stretto gli altri Paesi emergenti (senza preoccuparsi di lavorare con Unione Europea e Giappone), la dice lunga sul ruolo di global player che hanno assunto paesi come il Brasile, il Sud Africa, l’India e la Cina.

(per continuare la lettura cliccare su “3”)

L'autore: Redazione

Redazione del Termometro Politico. Questo profilo contiene articoli "corali", scritti dalla nostra redazione, oppure prodotti da giornalisti ed esperti ospiti sulle pagine del Termometro.
Tutti gli articoli di Redazione →