Termometro Finanziario: Grecia di nuovo sotto i riflettori, l’addio all’euro è vicino?

Pubblicato il 20 Agosto 2012 alle 11:12 Autore: Giovanni De Mizio

Con volumi ridotti ai minimi termini complici le vacanze estive, i mercati archiviano una settimana piuttosto positiva: l’indice di riferimento italiano torna su livelli che non si vedevano da inizio aprile, idem per quello tedesco, che però è molto più vicino ai massimi da un anno. Ancora più positivi gli indici americani, che tornano ad affacciarsi su massimi ancora più lontani, ma decisamente non è tutt’oro quel che luccica: i mercati, con volumi così sottili, tendono ad essere sempre positivi in assenza di cattive notizie, come avvenuto nelle ultime settimane, ma la ripresa dei lavori nei prossimi giorni lascia presagire un po’ di preoccupazioni.

 

È di nuovo la Grecia a preoccupare, visto che, stando agli ultimi controlli da parte della Troika, mancano tagli per 2,5 miliardi (almeno) per risanare il bilancio, e la brutta notizia arriva in un periodo di turbolenza fra le cancellerie europee. La Finlandia e la Germania hanno ripreso ad assumere atteggiamenti duri contro Atene (e di riflesso verso gli altri PIIGS), lasciando intendere che se la Grecia dovesse uscire dall’euro “tanto peggio, tanto meglio”, mentre il premier greco Samaras comincerà in settimana un giro di incontri con altri capi di Stato e di governo europei per contrattare un allungamento delle scadenze dei prestiti.

Questo elenco di eventi torna a sottolineare quanta pochezza e confusione vi sia nella gestione della crisi europea, quanto poco sia stato fatto e quanto poco sono state comprese le conseguenze della “reversibilità” dell’euro cui si è scagliato contro il governatore della BCE Mario Draghi. L’uscita della Grecia altro non sarebbe che un “test”, così com’è avvenuto negli ultimi anni: è l’effetto domino che continua a far sentire le proprie conseguenze, mentre i tasselli continuano a cadere. Dopo Grecia, Irlanda e Portogallo, i mercati si attendono che sia la Spagna la prossima a chiedere il “supporto” della Troika, e dopo la Spagna toccherebbe all’Italia. Se la Grecia dovesse uscire dall’euro, il rischio che si accodino Irlanda e Portogallo e poi Spagna e Italia diventerebbe concreto, e in men che non si dica, si arriverebbe al collasso dell’eurozona.

grecia

Vale la pena di ricordare il meccanismo di propagazione della crisi. Un Paese, la Grecia, va in crisi (gennaio 2010), ma la gestione di questa piccola crisi è semplicemente priva di senso, tant’è che due anni dopo si arriva al primo default (in senso tecnico) nella zona euro. Chi aveva investito sulla Grecia perde un sacco di soldi e si scatena il sell-off (cioè la vendita a qualsiasi prezzo) dei titoli di Stato greci. Ci sono però altri Paesi in difficoltà, i PIIGS. Gli investitori temono che possa accadere lo stesso anche per altri Paesi e dunque cominciano a ridurre l’esposizione anche sui titoli di quei Paesi, facendo esplodere gli spread, prima dei pesci piccoli come l’Irlanda e il Portogallo, poi di quelli grossi (Spagna e Italia).

Il copione è lo stesso sempre: Germania e compagnia per prestare denaro a chi è in crisi impongono tagli che aggravano e avvitano la crisi, finché non arriva un default che non viene chiamato col suo nome solo per salvare la faccia. Le difficoltà si susseguono e mordono i Paesi più in difficoltà, fino al momento del crack dell’eurozona. La crisi greca, che poteva risolversi in sei mesi e modica spesa nel 2010 (con spread BTP-Bund a 150), è diventata una peste che si avvia a decimare un’area di qualche centinaio di milioni di persone. E tutto perché qualche ministro qua e là non si rende conto che l’euro potrà pure essere reversibile in linea teorica, ma in linea pratica c’è il rischio che venga sostituito dal baratto.

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