Fiorito? E’ una conseguenza della crisi dei partiti

Pubblicato il 4 Ottobre 2012 alle 16:16 Autore: Giacomo Bottos
fiorito

Quando si criticano “i partiti” in realtà si critica la degenerazione dei partiti, il loro essere diventati in alcuni casi e per molti aspetti dei comitati d’interesse, il fatto che essi non assolvano più a una funzione di selezione e di formazione del personale politico, il loro isolamento e la loro incapacità di convogliare il desiderio di partecipazione delle persone. Ma il partito politico in origine, nei primi decenni della Prima Repubblica, era qualcosa di molto diverso da ciò che è ora.

Chi voleva fare strada dentro un partito era quantomeno obbligato a studiare e a leggere moltissimo, ad avere le necessarie conoscenze di storia, giurisprudenza, economia, filosofia, geopolitica. I partiti erano una “scuola vivente” per militanti, quadri e dirigenti. Si entrava in un partito portando le proprie rivendicazioni, ma al contempo imparando progressivamente a tenere conto, nel proprio modo di pensare, dell’interesse generale. Questa funzione di “mediazione” dei partiti è ciò che progressivamente è andato perso nel corso degli anni Ottanta e poi ancora di più nella cosiddetta Seconda Repubblica.

Naturalmente esistono delle cause storiche per cui questo avvenne. Quando la società fordista, nella quale i Partiti erano nati e sulla base della quale si erano strutturati, venne meno, questo gettò le organizzazioni politiche in una profonda crisi. Ma questa crisi assunse forme diverse nei vari paesi, ci fu chi seppe adattarsi meglio o peggio, e determinare diverse evoluzioni sociali (basti pensare al modello scandinavo contrapposto a quello anglosassone).

Ora la grande crisi che viviamo ci fornisce l’occasione per ripensare a questo passato guardando al futuro. Inevitabilmente la crisi genererà ovunque una nuova domanda di politica. Il sentire collettivo va verso un’evoluzione che dia maggior peso alle questioni sociali rispetto all’individualismo che abbiamo conosciuto nell’ultimo trentennio. Questa condizione storica può costituire una grande occasione per un rinnovamento della funzione dei partiti, per un recupero della loro funzione originaria di elemento chiave della democrazia.

Ma è chiaro che questo potrà avvenire solo attraverso un profondissimo rinnovamento. Se da un lato va recuperato dal passato il concetto di partito, la sua funzione, le forme della partecipazione dovranno essere profondamente adeguate al presente. Bisogna però superare l’idea di una contrapposizione tra forme “nuove” (come Internet) e forme vecchie (la struttura tradizionale di partito, con le sezioni e “l’apparato”). Solo un’integrazione virtuosa dei due elementi potrà rendere i partiti nuovamente efficaci.

Naturalmente se si guarda alla realtà, questa sembra notevolmente lontana da queste evoluzioni. Ma il ritorno alla politica passa anche per il coraggio di proporre visioni ardite, di offrire una prospettiva, di muovere dalle idee. La politica, nel senso alto della parola, non è l’amministrazione dell’esistente, ma la sua trasformazione in base a un’idea di società.

Se pensiamo a quanto la crisi, dal 2007 ad oggi abbia già trasformato la società, ci rendiamo conto di come abbiamo a che fare con processi in rapidissima evoluzione, che possono cambiare le cose e creare nuovi soggetti politici. Per quanto riguarda la generazione che si sta formando in questo momento il sentire nei confronti della politica può cambiare molto rapidamente rispetto alla sistematica svalutazione che ne è stata fatta negli ultimi vent’anni. Una nuova stagione di impegno, di partecipazione potrebbe essere alle porte. Questo sarà il più profondo fattore di rinnovamento.

 

L'autore: Giacomo Bottos

Nato a Venezia, è dottorando in filosofia a Pisa, presso la Scuola Normale Superiore. Altri articoli dell’autore sono disponibili su: http://tempiinteressanti.com Pagina FB: http://www.facebook.com/TempiInteressanti
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