In Bersani non c’è il passato ma un’idea diversa di futuro

Pubblicato il 15 Ottobre 2012 alle 23:05 Autore: Giacomo Bottos
bersani

Ma non è così. Se ci affranchiamo dalla narrazione renziana ci accorgiamo che in quella di Bersani -che non è solo una narrazione, ma anche e prima di tutto una pratica politica collettiva di militanti, intellettuali, simpatizzanti– non c’è il passato, ma una diversa idea di futuro.

Un futuro però che non viene concepito come una fuga in avanti, come qualcosa per costruire il quale basti un atto di volontà. Questo certo è fondamentale e infatti Bersani richiama il passato non per una rievocazione nostalgica ma per ricordare un momento fondamentale della nostra storia in cui questa volontà si è manifestata: il dopoguerra e la ricostruzione. Questo periodo rappresentò un grande momento di sforzo e di impegno collettivo, e anche di coraggio. Si ebbe tutti insieme (perchè l’idea dell’azione collettiva è caratteristica dell’idea di Bersani, contrapposta al profondo individualismo di cui il discorso renziano rimane impregnato) la forza di superare un drammatico momento storico. Il riferimento al passato dunque è tutto il contrario di un amarcord, ma è invece una potente analogia col presente: così come allora ce la facemmo anche oggi che siamo nella più grave crisi da allora, se saremo capaci di un rinnovamento morale e di un impegno collettivo, potremo farcela.

Ma si potrebbe dire: perchè esprimere questo messaggio con un richiamo al passato, invece che in altra maniera? Perchè questo ha un significato particolare in questa fase storica. Uno dei cardini della seconda Repubblica era proprio la rimozione del passato, l’oblio delle radici culturali e ideologiche dei partiti e del paese. Il fallimento di questa Seconda Repubblica sotto pressochè tutti i fronti dovrebbe avere dimostrato come l’idea del rinnovamento assoluto, totale, che non fa i conti col passato e non parte da un’elaborazione critica della Storia (per distinguere in essa ciò che si valuta positivamente e ciò che si vuole condannare) partorisce in realtà un rinnovamento inefficace, che riproduce dietro la patina esteriore nuovista le stesse identiche contraddizioni del passato.

Più in generale alla base di questa idea di rinnovamento c’è l’idea della storia come qualcosa di vivente, l’idea cioè che la storia non sia mai veramente qualcosa di totalmente passato, ma qualcosa che contribuisce a determinare il presente e a cui dobbiamo rapportarci nell’agire politico.

Il rinnovamento di Bersani è un rinnovamento più complesso di quello di Renzi. Un rinnovamento più graduale, progressivo se si vuole. Un rinnovamento nelle persone (Bersani si è impegnato, se vincerà le primarie e andrà al governo a “girare la ruota”, a far entrare moltissimi giovani in ruoli di responsabilità, e questo è in parte già avvenuto nella struttura del partito) ma prima ancora nelle idee. Già da diversi anni durante la segreteria di Bersani una complessa riflessione culturale è stata avviata, una riflessione storica, filosofica, economica (si pensi ad esempio per quest’ultimo ambito alle analisi di Stefano Fassina, che da due anni dice cose che solo ora istituzioni come il Fondo Monetario Internazionale iniziano ad ammettere, e cioè che la politica europea di austerità non solo è socialmente distruttiva ma anche controproducente per i debiti pubblici), proprio per riempire di contenuti quella parola che è “rinnovamento”).

Certo, si tratta di un lavoro meno appariscente, che spesso non è evidente alla maggioranza degli elettori. Si tratta però di un’impostazione radicalmente alternativa rispetto a quella di Renzi. Per Renzi il rinnovamento viene prima, a prescindere, e poi la proposta politica viene “costruita” strada facendo sull’onda della candidatura. Per il partito che Bersani guida invece è la proposta politica l’essenziale ed è in base a questa che una nuova generazione può proporsi come realmente “nuova”. E’ questa la via che hanno scelto i giovani che sostengono Bersani: concentrarsi prima sulla creazione di idee nuove e di una nuova proposta politica e in base a questa chiedere (come ha fatto Matteo Orfini) che la vecchia generazione si faccia gradualmente da parte. Questo sulla base della convinzione che il cambiamento vero avvenga solo sulla base di una comprensione reale e profonda della realtà attuale e storica in cui si è inseriti e non semplicemente mettendo nuove persone al posto delle vecchie.

Si tratta naturalmente di una strategia meno immediata e più difficile da comunicare. Ma forse è solo in questo modo che l’Italia può essere veramente cambiata.

L'autore: Giacomo Bottos

Nato a Venezia, è dottorando in filosofia a Pisa, presso la Scuola Normale Superiore. Altri articoli dell’autore sono disponibili su: http://tempiinteressanti.com Pagina FB: http://www.facebook.com/TempiInteressanti
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