Berlusconi contro tutti/2: simulazione sui dati EUR 2009

Pubblicato il 7 Gennaio 2010 alle 11:00 Autore: Salvatore Borghese

Le conseguenze politiche di uno scenario simile non sono poche, né semplici da interpretare.

Innanzitutto, diamo per assunto che la coalizione che abbiamo denominato Fronte democratico abbia stretto un patto meramente elettorale, allo scopo di sostenere un governo provvisorio per la realizzazione di alcune riforme transitorie (precedentemente individuate) e in seguito di andare nuovamente al voto senza necessariamente concludere l’intera legislatura; e che, per contro, la coalizione di centrodestra abbia invece puntato tutto sulla figura carismatica di Berlusconi (candidato per la sesta volta in sedici anni) e sul suo progetto, stavolta non solo di governo ma di profonda trasformazione istituzionale.

La vittoria del Fronte democratico non significherebbe, in questo caso, l’automatica realizzazione dei programmi previsti, per un semplice motivo: la posizione perfettamente centrale, e assolutamente decisiva, che otterrebbe l’Udc di Casini da un risultato del genere – una conseguenza, questa, peraltro largamente prevedibile.

Consideriamo l’ipotesi che l’Udc sia sorda al richiamo della “casa del padre”: infatti con il solo appoggio (evidentemente non senza condizioni) dell’Udc, il centrodestra potrebbe nuovamente ritrovarsi con una solida maggioranza, ricreando una situazione simile alla legislatura 2001-2006.

E lo stesso Berlusconi, per molti motivi, avrebbe maggiore convenienza a cedere persino la presidenza del Consiglio a Casini, purché questi garantisca l’appoggio dell’Udc ad un governo di centrodestra. Ma supponiamo che l’Udc resti invece fedele a quanto annunciato in una campagna elettorale condotta in nome della contrapposizione al disegno plebiscitario di Berlusconi, magari anche per effettiva incompatibilità con la Lega Nord. La permanenza dei centristi nel Fronte democratico sarebbe comunque subordinata ad una politica del governo provvisorio tesa a mettere in primo piano l’approvazione delle riforme che interessino maggiormente all’Udc (leggi: legge elettorale di tipo tedesco) a scapito delle altre, a cominciare – presumibilmente – da quella sul conflitto d’interessi.

Sul lato sinistro dello schieramento, bisogna poi considerare la posizione della Lista comunista, il cui contributo al Fronte democratico sarebbe stato meramente elettorale, con nessun membro di quell’area che entri a far parte del Governo e con l’appoggio esterno vincolato unicamente ad una serie di riforme: anche qui, l’approvazione del sistema elettorale tedesco, ma anche la legge sul conflitto d’interessi – tutte cose dichiarate esplicitamente in dicembre dallo stesso Paolo Ferrero.

Ma, se alla Camera i voti per mandare avanti il governo provvisorio anche senza i comunisti ci sarebbero comunque, al Senato la situazione sarebbe molto meno facile: anche supponendo che 8 su 14 senatori non considerati nel grafico – tra eletti all’estero ed autonomisti, senza considerare i senatori a vita – appartengano al centrosinistra e siano tutti “moderati” (ipotesi “limite”), il Fronte democratico potrebbe contare su 157 senatori contro i 158 dell’opposizione di centrodestra più i comunisti.

La necessità di tenere i comunisti fedeli alla coalizione per quanto possibile costituirebbe dunque un altro fattore di difficoltà oggettiva per la durata e la funzionalità del governo provvisorio sostenuto dal Fronte.

A parte le difficoltà provenienti dalle due ali estreme (quella centrista e quella comunista) del Fronte democratico, vittorioso in questa nostra simulazione, non è affatto scontato che il suo “corpus” centrale, (SeL, Pd, Radicali e Idv) si proponga come mediatore equilibrato e compatto tra le varie istanze, una volta al governo. Non è anzi escluso che, anche all’interno di quello che dovrebbe essere il “perno” riformista della nuova maggioranza, si vengano a creare forti contrapposizioni su vari temi, con i temi socio-economici ed ecologisti portati avanti da SeL, quelli sul conflitto d’interessi e la difesa dell’indipendenza della magistratura da parte dell’Idv, quelli cosiddetti “eticamente sensibili” da parte dei Radicali, con il Pd a sua volta diviso al suo interno su ciascuno di queste grandi questioni. Né sembra improbabile che lo stesso Pd, o perlomeno alcuni suoi esponenti, possa voler rivedere alcuni punti dell’accordo fondativo del Fronte, come la nuova legge elettorale, creando così a sua volta rimbrotti e malumori con gli alleati.

Insomma, il lavoro fin qui svolto ci consente di affermare con ragionevole certezza che una coalizione allargata delle attuali opposizioni avrebbe buone probabilità di risultare efficace, sul piano elettorale. Ma il discorso cambierebbe di molto all’indomani delle elezioni: a meno di un drastico calo dei voti per Udc e comunisti, e conseguentemente una loro influenza molto ridotta sulla determinazione della maggioranza parlamentare, la stessa natura del governo che si venisse a formare è tutt’altro che scontata. A quel punto la palla passerebbe ai singoli attori politici, partiti e loro leaders, ed alla loro capacità di risultare conseguenti alle loro scelte pre-elettorali. E questa costituisce un’incognita tanto decisiva quanto poco misurabile.

 

Salvatore Borghese

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L'autore: Salvatore Borghese