Recensione/2 – “La prima linea”

Pubblicato il 4 Dicembre 2009 alle 12:28 Autore: Michela Borsa
La grande bellezza candidato agli Oscar

Impegnati in una serie di azioni armate che porteranno alla morte, tra gli altri, del giudice Emilio Alessandrini e di uno dei pentiti che abbandonò il progetto nel 1980 (il giovane William Wacher), Segio e i suoi sembrano non accorgersi che dietro di loro si sta creando il vuoto. La frattura, per chi guarda, appare netta e insanabile fin dalle prime scene: il film diventa allora, più che il viaggio intrapreso nel 1982 da una squadra di ex combattenti di Prima Linea guidati da Segio-Scamarcio, per liberare un gruppo di prigioniere politiche, tra cui la Ronconi-Mezzogiorno, la storia di una Scelta. Della decisione cieca di impugnare le armi, in un’ottica machiavellica della “rivoluzione armata” vissuta senza mai avere veramente alle spalle una base forte nel sostegno del popolo per cui lottavano: e il paradosso emerge in tutta la sua potenza. L’altro lato della medaglia è in questo caso impersonato nella figura di Piero, ex militante di Lotta Continua e amico di Segio che aveva deciso di non prendere parte all’organizzazione. Nell’incontro tra i due amici si materializzano due modi diversi di confrontarsi con la delusione post-sessantottina: se, da un lato, Piero continua a ricordare con nostalgia “quando si discuteva fino a tardi, e poi ci si alzava alle sei per fare i picchetti in fabbrica”, Sergio è ormai prigioniero di una sorta di onnipotenza utopica che lo porterà, più avanti, a confessare che “l’errore più grande è stato proprio quello di impugnare le armi”. Proprio questa dichiarazione esplicita, insieme a un’atmosfera cupa, contribuisce a non fare della pellicola solo una storia eccessivamente romanzata che rischia di restituire un’immagine fuorviante di Prima Linea. Senza scavare troppo nei dissidi interiori dei personaggi, De Maria preferisce concentrarsi sulle loro azioni, sulle ambientazioni, sui momenti di confronto e di dialogo (con la famiglia, con l’amico Piero, all’interno dell’organizzazione stessa), evitando una pericolosa immedesimazione dello spettatore nei protagonisti. Sergio e Susanna sono l’emblema di una gioventù pietrificata, accecata dall’ideologia, lontana dall’essere rappresentata in senso eroico. Anzi, ciò che traspare, al di là del comprovato distacco del regista, è un profondo senso di vergogna e di disillusione dei componenti del gruppo, soprattutto nella seconda parte del film.

Peccato solo non vi sia alcun riferimento a uno dei membri più importanti di PL, Marco Donat Cattin, figlio del Carlo esponente di spicco dell’ala sinistra della Dc, il cui affaire avrebbe aggiunto un ulteriore elemento di interesse nell’interpretazione del fervore di quegli anni: un periodo buio della nostra storia, estraneo alle coscienze delle nuove generazioni e che rischia di essere vissuto come un tabù.

 

Film come “La prima linea” diventano allora tasselli importanti per contribuire ad una sorta di “elaborazione del lutto”, in un percorso difficile quanto necessario.

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