Alfano, il perdente di successo

Pubblicato il 16 Febbraio 2013 alle 18:20 Autore: Federico De Lucia
alfano

Non solo: a rendere il tutto addirittura ridicolo, è stata la piroetta del mese successivo. Dopo aver lanciato nel panico il partito per un mese, dopo averlo esposto a figuracce atroci, e dopo aver annichilito il segretario da lui stesso nominato per potersi ricandidare alle sue condizioni, a Berlusconi è bastato un secondo per rinunciare a tutto questo, non appena è stata la Lega a chiederglielo. Insomma: ciò che Alfano non è riuscito ad ottenere in un intero anno di lavoro, Maroni l’ha ottenuto in una cena.

In quei giorni sembrava addirittura incredibile che Alfano fosse stato disposto ad accettare tutto ciò senza dimettersi. Eppure, dalle dichiarazioni combinate dei vari protagonisti, non si riusciva veramente a capire quali fossero state le contropartite che il segretario era riuscito ad ottenere in cambio di una genuflessione di tale portata. In particolare, destò particolare stupore una dichiarazione di Berlusconi: a suo dire, solo il 10% dei parlamentari PDL uscenti sarebbe stato ricandidato. Al panico dei minuti successivi seguì una rapida, ma parziale smentita: il 50% dei nuovi eletti sarebbe stato composto da matricole, e i parlamentari uscenti, con una particolare predilezione per coloro che non sono politici di professione, sarebbero stati collocati all’interno del restante 50%, composto quasi interamente da esponenti del mondo delle professioni e dell’impresa. Ora, come è possibile che un partito quasi interamente destinato al pensionamento forzato accetti, proprio per ordine di colui che tale pensionamento gli impone, di sfiduciare Monti, di correre al voto, di rinunciare alle preferenze e di rinunciare alle primarie? Il conto non tornava, ma adesso che sono state rese note le liste la situazione è molto, molto più chiara.

Con l’ennesima contraddizione rispetto alle dichiarazioni precedenti, Berlusconi ha accettato senza problemi che più del 60% dei parlamentari PDL uscenti venissero ricandidati, e che il 40% di essi sia stato collocato in posizioni eleggibili. In un contesto di contrazione evidente del numero di rappresentanti, significa che più del 75% dei prossimi gruppi parlamentari del PDL sarà composto da uscenti rieletti, ovvero, in gran parte, dalla classe politica che fino ad un mese fa sosteneva Alfano alle primarie. Ecco, dunque, la contropartita. Alfano ha accettato di tornare a fare il gregario e di esporsi ad una figuraccia come quella che ha fatto in cambio di una semplice cosa: svolgere un ruolo primario nella compilazione delle liste. Non è un caso che alla fine Alfano abbia avuto la meglio nella decisione finale sulla esclusione di Dell’Utri e Cosentino. Questo ovviamente non significa che i parlamentari del PDL della prossima legislatura saranno tutti degli alfaniani convinti. Significa semplicemente che nei gruppi parlamentari si ripresenterà quella divisione verticale che ha caratterizzato il PDL degli ultimi mesi: quella cioè fra “politici” da una parte, e berlusconiani di ferro dall’altra. Il tutto condito da un tasso di conflittualità piuttosto aspro, come comprensibile vista la mole di astio accumulata ultimamente, un polverone che solo nell’ultimo mese Berlusconi sta riuscendo a nascondere sotto il tappeto mediatico della campagna elettorale.

Ora, anche se al momento appare piuttosto improbabile, ipotizziamo che Bersani e Vendola riescano ad ottenere una maggioranza anche al Senato, e che pertanto il centro di Monti, Casini e Fini si ritrovi all’opposizione, senza responsabilità di governo. Oppure, scenario più probabile, ipotizziamo che Monti si rifiuti di governare con Vendola e che pertanto l’unica soluzione alternativa ad un disastroso ritorno alle urne sia una grande coalizione con chi ci sta. In entrambi questi casi, Alfano avrebbe la possibilità di fare ciò che doveva e non gli è riuscito fare alla fine di questa legislatura: mollare Berlusconi sull’estrema destra e costruire con i centristi la costola italiana del PPE. Prima del voto 2013 non lo ha fatto perché sapeva che se avesse rotto con Berlusconi, quest’ultimo gli avrebbe portato via tutti i voti. Ma una volta ottenuto, grazie ai voti del Capo, il suo consistente drappello di parlamentari, ad anni di distanza dalla successiva tornata elettorale, e soprattutto con un Berlusconi ottantenne, sotto costante processo invece che a Palazzo Chigi, le cose potrebbero essere diverse. E, da perdente di successo, Alfano potrebbe trasformarsi in un vincitore a sorpresa.